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Open day scuola, una docente: “Teatrini colorati. Ci vorrebbe un esame di coscienza per chiedersi: quello che diciamo è reale?”

Questo è un periodo caldo per le scuole. Domani, 18 gennaio, si aprono le iscrizioni al prossimo anno scolastico. Per presentarsi alle famiglie i vari istituti, già da settimane prima, organizzano open days, giorni durante i quali aprono le porte a tutti per mostrare le proprie caratteristiche peculiari e aiutare gli alunni e i genitori nella scelta.

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Da tempo il metodo open day è criticato, bollato come ipocrita, visto come un giorno in cui le scuole nascondono le proprie magagne e si mettono in mostra, come fossero aziende o negozi. Una docente, come riporta Il Tirreno, in base alla sua esperienza anche da genitore, ha criticato gli open day, definendoli “teatrini colorati e luminescenti per convincere ignari adolescenti imberbi che scegliere loro quella scuola è la scelta migliore”.

Ecco un esempio: “Che senso ha far apparire il proprio liceo come un posto meraviglioso dove l’accoglienza sta alla base di una preparazione solida e performante quando da innumerevoli anni si sa che quel liceo vanta un abbandono altissimo di iscritti alla prima superiore?”.

Dov’è l’onestà?

La docente si è fatta delle domande: “Dove sta l’onestà nel far parlare all’open day quei bravissimi ragazzi di quarta o quinta che sarebbero stati bravissimi in qualsiasi contesto, perché pieni di talento, spinta e maturità autonome, che hanno veleggiato col vento in poppa da quando sono nati? Dov’è la verità, in quegli insegnanti che si prestano al palcoscenico dell’open day e raccontano di una scuola inclusiva, che accompagna e ascolta se poi da settembre, in maniera costante, senza ritegno, fanno terrorismo nelle prime dicendo che ‘quella scuola non è per tutti, che è meglio cambiare velocemente’?”.

“Questo ad esempio succede in un liceo a cui ogni anno molti dei miei ex studenti si iscrivono pieni di entusiasmo e vengono massacrati nei primi tre mesi di scuola da una elevata percentuale di docenti. Alle famiglie, alla prima riunione viene detto che buona parte della classe non è ‘scolarizzata’. Forse, piuttosto, è disorientata, in fase di adattamento, sorpresa, in difficoltà. Mentre agli studenti viene detto che sono inetti, inabili, non adatti, che se prendono un 3 non lo recupereranno, e i 3 piovono a catinelle”.

La proposta della docente

“Proporrei un esame di coscienza alle soglie del prossimo open day, un collegio straordinario in cui fare i conti con la propria professionalità, consapevolezza, con l’onestà di cui ogni insegnante dovrebbe essere un portavoce, in cui rispondere a domande come queste: quello che ci prepariamo a dire è reale? Siamo consapevoli che questo è ciò che avviene nella nostra scuola? Perché più della metà degli studenti ha bisogno di lezioni a pagamento? E all’open day dovrebbero partecipare tutti i ragazzi, soprattutto di prima, e dovrebbero avere la possibilità di parlare in assemblea, da soli. Allora si che l’open day sarebbe uno strumento serio di aiuto nella scelta”, ha concluso.

Open day scuola, a cosa fare attenzione? La risposta dell’esperto

Secondo il pedagogista Daniele Novara, la prima cosa da guardare con attenzione durante un open day è la disposizione dei banchi nelle classi: se questi sono classicamente allineati in file significherà probabilmente che la scuola predilige una didattica classica di tipo frontale; se, al contrario, i banchi sono disposti a gruppi, isole, semicerchi, potrà voler dire che c’è una visione più sociale e stimolante del percorso di insegnamento-apprendimento. Da valutare pure – continua il professore – l’articolazione degli altri luoghi di insegnamento, laboratori e palestre. Ma occorrerà anche chiedere informazioni sui programmi di attività extrascolastiche, le gite, il teatro, i viaggi in Italia e all’estero, gli eventuali gemellaggi già in atto. Ciò serve a valutare se l’idea è quella di una scuola viva, il cui unico scopo non è tenere i ragazzi in classe, fermi e buoni. Tutte queste informazioni servono a stimare quello che il professore Novara chiama “L’indice pedagogico” della scuola.

Le famiglie svolgono un ruolo fondamentale: devono, infatti, cogliere i desideri, le passioni, gli interessi dei loro figli, che non sempre a tredici anni hanno le idee chiare sulla scelta da effettuare in uscita dalla scuola media. Interrogato poi su come si faccia a comprendere le attitudini di un ragazzo quando non sono molto evidenti, il pedagogista risponde che “la motivazione è tutto, è la benzina per i successivi cinque anni.” Un consiglio elementare: se un ragazzo non ha alcuna passione per la lettura, non ha senso iscriverlo in un liceo dove lo studio teorico è prevalente.

Novara aggiunge poi che scuola e famiglia devono affiancare i ragazzi in questo percorso di scelta attraverso quello che definisce un processo maieutico: aiutando cioè gli alunni a visualizzare bene i propri interessi. È importante, in particolare, che “il genitore colga le risorse esistenti e quelle inespresse del figlio,  che non sono necessariamente corrispondenti a quelle famigliari: i giovani devono fare la loro vita, non quella dei genitori. Occorre però tenere a mente un altro criterio: facciamo attenzione alle scelte eventualmente eccentriche dei figli, che sono magari legate a un interesse provvisorio, momentaneo, assolutamente contingente”.

E, per l’appunto, in caso di scelta sbagliata? Il pedagogista se la prende con una presunta rigidità del sistema scolastico che non aiuterebbe i ragazzi a cambiare indirizzo qualora si accorgessero di non essere nella scuola giusta. Qui ci permettiamo di non essere d’accordo con lui: già da molti anni, infatti, esiste un rodato sistema di passerelle che consente, soprattutto al primo anno della secondaria superiore, (ma anche per tutto il biennio e oltre…) di cambiare facilmente indirizzo di studi: i genitori chiedono il nulla osta indicando la nuova scuola in cui vorrebbero iscrivere il figlio, la segreteria invia una mail per verificare che in questa scuola ci siano posti disponibili e in caso di risposta affermativa (quasi sempre) il gioco è fatto.

Redazione

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