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Ora di religione: modello italiano conservatore? Scoppia la polemica

Torna in primo piano l’ora di religione. Stavolta ad innescare la ‘miccia’ è stato un articolo-inchiesta del giornalista Curzio Maltese pubblicata dal quotidiano Repubblica, dal titolo Religione, il dogma in aula un’ora che vale un miliardo. Nell’inchiesta è stato in pratica messo a confronto il modello scolastico italiano – dove “ogni timido tentativo di discussione è stroncato sul nascere da una ferrea censura” – con quello dei principali Paesi europei, dove invece negli ultimi anni si starebbe assistendo ad un “vivace e colto dibattito, ben al di sopra delle vecchie risse tra clericali e anticlericali”: ci si sofferma, in particolare, sulla Spagna, dove il Governo, dopo aver confermato i tagli alle scuole private, sta oggi studiando “addirittura una revisione del Concordato del 1979”; oppure sulla Germania, Spagna e perfino sulla cattolicissima Polonia di Karol Woytjla, dove “il dibattito non si è limitato alle pagine dei giornali ma ha prodotto cambiamenti nelle leggi e nei programmi scolastici, come l’inserimento di altre religioni (Islam e ebraismo, per esempio) fra le scelte possibili o la trasformazione dell’ora di religione in storia delle religioni comparate, tendenze ormai generali nei sistemi continentali”.
Secondo Maltese, da noi la realtà è ben diversa: dopo aver puntato il dito sui finanziamenti alle scuole private cattoliche, avviati dal Ministro Letizia Moratti e confermati (anzi addirittura aumentati) dall’attuale responsabile del dicastero della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, siano vietati dall’articolo 33 della Costituzione, l’autore del dossier ricorda come “l’ora facoltativa di religione costa ai contribuenti italiani circa un miliardo di euro all’anno”. Viene messa sotto accusa anche la messa in ruolo dei quasi 15.000 docenti di religione avvenuta negli ultimi tre anni: “l’ultimo dato ufficiale del ministero – si legge nell’articolo – parla di 650 milioni di spesa per gli stipendi, ma risale al 2001 quando erano 22 mila e tutti precari. Ora sono diventati 25.679, dei quali 14.670 passati di ruolo, grazie ad una rapida e un po’ farsesca serie di concorsi di massa inaugurati dal governo Berlusconi nel 2004 e proseguita dall’attuale”.
Su questo punto è prontamente intervenuto Orazio Ruscica, Segretario nazionale dello Snadir – il sindacato nazionale degli insegnanti di religione – secondo cui il concorso riservato ai supplenti della materia “è risultato tanto ‘rapido’ da giungere dopo quasi venti anni dalla revisione concordataria (legge 121/1985), ma evidentemente ha ugualmente infastidito chi ritiene che tutti debbano essere tratti dalla condizione di precariato purché non insegnino religione. Quanto alla “farsesca serie di concorsi di massa” – ha continuato Ruscica – è appena il caso di ricordare che di concorso ordinario se ne è svolto uno solo ed ha previsto l’ammissione solo di coloro che potevano vantare una serie di requisiti di servizio.  Forse per “farsesca serie di concorsi di massa” ci si voleva riferire – ha concluso polemicamente il rappresentante dei prof i religione – ai corsi abilitanti riservati per altri insegnamenti, ma da quelli gli insegnanti di religione sono stati esclusi; altri ne hanno usufruito”.
Lo Snadir ha quindi ‘bollato’ l’inchiesta di Repubblica dispensatrice di “pochi dati, in genere sbagliati, ma soprattutto si è contestato il fatto che lo Stato italiano dia tanto spazio e rilevanza nella scuola ad un insegnamento facoltativo”. Secondo Ruscica l’insegnamento della religione non va quindi “annientato ma, al contrario, va meglio ripensato nella sua collocazione, specificato nei suoi obiettivi e arricchito nei contenuti, compresa una maggiore attenzione per la lettura della Bibbia”.
All’articolo di Maltese aveva risposto duramente anche il Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone: “Finiamola con questa storia dei finanziamenti alla Chiesa – ha detto il cardinal Bertone – : l’apertura alla fede in Dio porta solo frutti a favore della società”. Per poi aggiungere: “C’è un quotidiano che ogni settimana deve tirare fuori iniziative di questo genere. L’ora di religione è sacrosanta”. Pronta la replica anche alle parole del Cardinale Bertone: l’autore, attraverso un editoriale in prima pagina della Repubblica, è stato addirittura il direttore del giornale romano, Ezio Mauro: “Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse – si chiede Mauro – la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento? Pensa di poter decidere se un’inchiesta dev’essere pubblicata “ogni settimana” o con una diversa cadenza?. E’ convinta – continua il direttore riferendosi alla Santa Sede – che basti chiedere la chiusura anticipata di un’indagine giornalistica per evitare che si discuta di “questa storia”? Infine, e soprattutto: non esiste più l’imprimatur, dunque persino in Italia, se un giornale crede di “tirar fuori iniziative di questo genere” può farlo. Salvo incorrere in errori che saremo ben lieti di correggere, se riceveremo richieste di rettifiche che non sono arrivate, perché nessun punto sostanziale del lavoro d’inchiesta è stato confutato”. 
La querelle allora finirà qui? Probabilmente. Ma solo per qualche giorno.
Alessandro Giuliani

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