Come durante tutte le estati, torna ad essere messa in discussione l’ora di religione. Quest’anno la prima a farlo è stata Maria Mantello, docente di Filosofia e Storia, saggista, giornalista e fervente sostenitrice della scuola laica, che realizza un excursus storico sulla disciplina e chiede senza mezzi termini di “eliminare l’ora di religione”.
In un lungo documento pubblicato su MicroMega, Mantello sostiene che la religione cattolica a scuola ha sempre avuto il via libera dei governi: dallo Statuto Albertino, secondo cui doveva essere “religione di Stato”, passando per “il fascismo” che “rispolverava questo principio in omaggio al Vaticano”, con l’allora “ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile”, che nel 1924 introdusse “alle elementari in orario scolastico e a spese dello Stato l’ora di religione.
L’excursus storico
La studiosa laica si sofferma poi su quella definisce l’alleanza “clerical-fascista” e sul “Concordato del 1929”, con il quale, sostiene, “si recideva quel processo di laicizzazione che lo Stato liberale aveva faticosamente iniziato a costruire, e si creava una strutturale interferenza della curia vaticana nella sovranità statale”.
Quindi, sottolinea che dopo un ventennio “Il Fascismo cadde”, ma “il Concordato no”.
“Anzi – continua Mantello – venne menzionato addirittura nella Costituzione repubblicana, che pure dall’antifascismo nasceva”.
“Alle elementari era insegnata dagli stessi maestri. E si limitava molto spesso ad una recita di qualche preghiera prima dell’inizio delle lezioni. Alla scuola media consisteva in nozioni di catechismo. Alle superiori, gli studenti solitamente approfittavano di quell’ora per prepararsi nelle altre materie”.
Poi arrivò il boom economico. “A seguire il grande processo di emancipazione culturale e sociale, culminato negli anni 70. La fede anche a scuola trovava sempre meno credito, soprattutto nei licei, dove gli insegnanti di “Religione” per intrattenere i ragazzi parlavano con loro di questioni sociali e problemi giovanili. L’ora di religione diventava una sorta di incontro dove poter dire le proprie opinioni su sessualità, rapporti con la famiglia, ecc”.
Solo che, continua Mantello, erano pochi gli “insegnanti di religione che osavano prendere posizioni difformi dalla ufficiale morale cattolica su divorzio, pillola, aborto, omosessualità, famiglia, femminismo, ecc. erano su ordine del Vicariato prontamente sollevati dalla cattedra e dallo stipendio”.
La docente si sofferma quindi sul fatto che “la selezione e designazione di questi particolari docenti a cui lo Stato italiano paga lo stipendio, come previsto dal nuovo Concordato del 1984, e come ancora oggi avviene spetta infatti ai Vescovi locali”.
Quindi si arriva al 1984, con la stipula del nuovo Concordato: “Al governo c’era Bettino Craxi, che in cerca di unzioni ecclesiali, offriva al mondo clericale l’opportunità per riconquistare il terreno perduto in una società sempre più laicizzata e secolarizzata”.
Col nuovo Concordato la religione cattolica non è più religione di Stato, ma «riconoscendo il valore della cultura religiosa e […] i principi del cattolicesimo […] parte del patrimonio storico del popolo italiano» (art. 30), la Chiesa curiale era chiamata dalla Repubblica alla «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del paese» (art. 1)”.
E lo Stato paga…
Secondo Mantello, “ancora una volta (e forse peggio di una volta) si legittimava una defezione di sovranità statale nella subordinazione a un sistema valoriale di fede, fatto assurgere a entità degli italiani tutti”.
“In virtù del nuovo Concordato la Chiesa vaticana riprendeva quota, anche grazie ai fiumi di denaro che lo Stato italiano le elargiva. E che continua a elargirle esentandola anche dal pagamento di tasse e tributi di ogni sorta”.
Inoltre, “lavecchia ora settimanale di “Religione”, inserita in tutti gli ordini e gradi di scuola veniva estesa finanche nella scuola d’infanzia”.
Ma soprattutto “la denominazione adesso era esplicitata in Insegnamento della Religione Cattolica (IRC). Insegnamento – attenzione a questa dicitura – «obbligatorio nell’orario e facoltativo nella scelta». Una formula studiata per garantire all’IRC presenza strutturale. Garantendo a quell’ora settimanale di confessionalismo cattolico di essere parte integrante dell’orario scolastico. E quindi, diciamo, del sistema scolastico”.
Ancora secondo la professoressa Mantello, “da subito, si cominciò a pretendere che restassero a scuola anche quanti non volessero frequentare né religione, né materie alternative, né studi individuali (queste le opzioni per legge)”.
“Chi aveva in quegli anni figli e nipoti in età scolare – prosegue – ben rammenta le discriminazioni subite, le pressioni fatte sui bimbetti a cui insegnanti attivissimi spiegavano che era tanto bello stare tutti insieme a parlare di Gesù, della Madonna madre di tutti, e di Dio Padre onnipotente”.
Le difficoltà di chi non si avvale…
Mantello parla quindi degli “avvalentisi (questa è la dicitura di legge di chi sceglie l’IRC) e dei non avvalentisi (definizione anche questa di legge, ma dalla connotazione negativa)”, il cui numero negli ultimi anni è cresciuto. Sostiene che “per i genitori che volevano far valere il diritto di lasciare i figli fuori dall’IRC era un dramma”.
“Nel frattempo, la battaglia legale che era stata intrapresa dai laici: ci sono voluti ben due pronunciamenti della Consulta per liberare gli studenti “non avvalentesi” dall’essere sequestrati a scuola durante l’ora di IRC che i loro compagni di classe frequentavano. Finalmente la Suprema Corte statuiva, non solo la legittimità di non seguire l’ora di cattolicesimo, ma neppure un insegnamento ad esso alternativo, e neanche lo studio individuale”. Con la sentenza n° 13 del 1991 che fissava la non negoziabilità dello «stato di non obbligo».
Di qui – stabiliva la Consulta – l’inderogabilità di «non rendere equivalenti o alternativi l’insegnamento della religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’interno della coscienza individuale l’esercizio di una libertà costituzionale, come la libertà religiosa».
“Le scuole per facilitare l’organizzazione di tutta la materia: collocavano l’IRC alla prima o all’ultima ora; fornivano l’assistenza allo studio individuale e alle attività libere; deliberavano anche di non stabilire materie alternative, favorendo così l’uscita da scuola…”.
“Alle superiori, intanto, il numero di coloro che sceglievano l’IRC andava diminuendo negli anni. Un dramma per i clericali! Che fare? Ecco allora il ricorso all’espediente di dare peso all’ora di Religione ai fini della valutazione. Fare in modo cioè che il giudizio dell’insegnante di cattolicesimo pesasse al momento dello scrutinio per decidere la progressione scolastica”.
E anche lì altre lotte per ricordare che, proprio col Concordato del 1984 e con le intese tra Ministero della Pubblica Istruzione e la Cei (DPR 751 del 1985 e modifiche del DPR 202 del 1990), l’insegnante di religione cattolica siede al consiglio di classe, dice la sua per quei ragazzi che frequentano l’IRC, ma in occasione della delibera di promozione o bocciatura, il suo voto non conta. Ci fu bisogno di ricordare che per l’IRC è prevista una nota informativa al di fuori della pagella (Decreto legislativo 297/ 94)”.
Giudizio sì, voto no
Insomma, che si trattava di un giudizio e non di un voto. I voti si hanno infatti nelle materie obbligatorie per tutti. Quelle che fanno media. Quelle sulle quali si sostengono esami. E per le quali si è promossi o bocciati”.
Secondo Mantello, inoltre, “ministri zelanti cercarono di darle peso nel punteggio di presentazione agli esami di Diploma. Ma anche in questa occasione la Magistratura (Cfr: sentenza n°7076 del 17 luglio 2009, emessa dal TAR del Lazio) ha dichiarato del tutto illegittima la pretesa, rifacendosi anche alle fondamentali sentenze della Corte Costituzionale (n° 203 del 1989 e n° 13 del 1991)”.
Ne consegue, continua Mantello, che “l’ora di religione, e di qualunque religione si tratti non è equipollente alle altre materie. E onde evitare altri equivoci relativi ai “crediti scolastici” che il consiglio dei docenti può decidere di attribuire ad attività svolte fuori dalla scuola (extrascolastiche), la Magistratura ha stabilito che: «qualsiasi religione per sua natura non è né un’attività culturale, né artistica, né ludica, né un’attività sportiva né un’attività lavorativa, ma attiene all’essere più profondo della spiritualità dell’uomo e a tale stregua va considerata a tutti gli effetti».
“Insomma – continua Mantello – la fede non va a punti! Né può essere strumentalmente utilizzata per accreditare il suo sistema valoriale nel processo educativo”.
Anche oggi “i politici chierichetti non desistono”
Arriviamo agli ultimi anni: Mantello dice che “i politici chierichetti non desistono” e tentano di “riportare agli onori della pagella l’ora di religione cattolica per farla contare tra i voti”.
“La truppa berlusconiana ne aveva fatto il proprio vessillo, nello sfarzo mediatico ad honorem del cavaliere, novello Unto del Signore, osannato e incensato dai maggiori vertici della Chiesa vaticana”.
Mantello cita la “riproposta di quella “scuola dell’identità” nucleo della riforma Moratti (Legge delega nel 2003), che metteva mano ai programmi per trasformare le materie d’insegnamento in una lunga ora di religione cattolica. Si partiva dalla Storia, ma tutte le materie d’insegnamento dovevano adeguarsi”.
Su questa autostrada, si innesta nel 2008 il disegno di legge n° 953 di Valentina Aprea: «Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti», che prevedeva di piegare la libertà d’insegnamento dei docenti «al sistema valoriale dei gruppi prevalenti sul territorio». In pratica la rete delle parrocchie.
Per non parlare della “cultura civica” inserita dalla ministra Gelmini nei programmi scolastici, e lasciata in pratica al “volontariato” (dove certo non mancano le truppe cattoliche)”.
Mantello si sofferma quindi sul “ministro Lorenzo Fioravanti, che nel 2019 osava difendere la laicità della scuola statale, esprimendo anche il proprio dissenso sull’affissione del crocifisso: «Io credo – aveva osato dire in una trasmissione televisiva – in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche […]. Meglio appendere una cartina geografica del mondo con richiami alla Costituzione». Risultato? Veniva silurato dopo soli 3 mesi di incarico, e isolato politicamente anche dai vertici del suo partito!”.
I prof di religione spostati su altre discipline?
Quindi sostiene che “nel quasi totale silenzio mediatico, in occasione dell’approvazione in Senato (13 maggio 2021) della «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, recante misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici» è passato un emendamento (10.27) a firma del senatore Roberto Rampi che recita.
«A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai fini della partecipazione alle procedure concorsuali, per il reclutamento di personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 maggio 2001, n. 165, il possesso del titolo di laurea magistrale in scienze delle religioni (LM64), secondo la classificazione indicata dal decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270, spiega [ha] i medesimi effetti del titolo di laurea magistrale in scienze storiche (LM84), scienze filosofiche (LM78) e in antropologia culturale ed etnologia (LM01)».
“Questo significa che gli «scienziati delle religioni» possono aspirare all’insegnamento di Italiano, Storia, Geografia nella scuola media. Alle superiori di Filosofia, Psicologia, Pedagogia, Italiano, Storia, Storia dell’arte, Latino, Greco. E chissà quanto altro ancora, tra “sperimentazioni” e “accorpamenti” di aree disciplinari”.
Una manna, se pensiamo che gli sbocchi lavorativi codificati per i laureati in scienze delle religioni erano quelli di mediatori e comunicatori in materia religiosa, nonché titolo (previo bene stare del Vescovo – Ordinario diocesano) per l’insegnamento della religione cattolica”.
“Come si vede il pericolo di riportare la religione cattolica a coronamento dell’istruzione è sempre in agguato”, conclude Mantello, portando avanti il “motto: Né dogmi Né padroni”, perché “sia sempre più il motore per l’emancipazione e l’autodeterminazione individuale e sociale”.
La difesa dello Snadir
Alle dure parole di Mantello ha fatto seguito la replica di Orazio Ruscica, segretario nazionale Snadir, che “bolla” l’attacco come figlio di “argomentazioni infondate e lungi dall’essere realmente animate da intenzioni laiciste” dà vita a “polemiche pretestuose costruite sul nulla”.
Secondo il leader dello Snadir, “Mantello accusa l’Irc di essere contro i principi di libertà, laicità e democrazia su cui si fonda la scuola italiana”.
Ma, “non si accorge, Mantello, che nella tesi da lei supportata, accompagnata peraltro da un vasto excursus storico e normativo, manca una cosa fondamentale, ossia chiarezza sul concetto di laicità affermato dalla nostra Costituzione. Vero è che il tratto distintivo della scuola pubblica italiana è che essa è laica e plurale: è una scuola di tutti e per tutti, senza distinzione di razza, di sesso, di genere, di religione”.
Questa premessa, tuttavia, prosegue Ruscica, “non nega il fatto che la conoscenza e la comprensione della religione cattolica rappresentino un elemento fondamentale per la crescita culturale e civile delle giovani generazioni, anche solo per il ruolo che la religione cattolica ha avuto ed ha tutt’ora nella storia e nella vita civile del nostro paese”.
Dante, arte e costumi come si comprenderebbero?
Ruscica fa quindi degli esempi. “È possibile comprendere l’Opera di Dante senza la conoscenza della dottrina cattolica? È possibile ignorare il fatto che il cattolicesimo abbia influenzato arte, costumi, cultura e vita politica sia in Italia che in moltissime altre parti del mondo? È possibile promuovere tra gli studenti la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo senza abituarli a comunicare sui valori fondamentali della cultura cattolica – iscritte nelle categorie storiche del popolo italiano – come la tolleranza, la carità, il dono, il rispetto della vita e del prossimo?”.
Il sindacalista tiene a ricordare che “l’ora di religione, oggi, non è un’ora di catechesi, ma un insegnamento che trova spazio nella scuola per via un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che lo considera portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, al pari delle altre discipline”.
L’ora di religione, prosegue Ruscica, “è uno spazio di formazione culturale indispensabile per cogliere aspetti fondamentali della vita e delle tradizioni del nostro Paese e della nostra società”.
In effetti, anche l’Unesco afferma che «nessun sistema educativo può permettersi di ignorare il ruolo della religione e della storia nella formazione della società». Per dirla con le parole di Abraham B. Yehoshua: “Anche se non credo in Dio, la sua presenza nella mente di moltissimi umani mi riguarda e mi interessa”.
“Perché dunque abbandonare i nostri studenti all’analfabetismo religioso? Perché negare loro la storia della nostra tradizione religiosa e le basi di una cultura che fa parte del nostro patrimonio storico e umano? Perché privarli delle premesse per un’apertura più cosciente al dialogo e allo scambio, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenti opzioni di vita?”.
Per Ruscica, dunque, occorre lasciare “ai nostri studenti la scelta e l’opportunità di comprendere meglio il mondo e la società in cui tutti viviamo”.