Ma il Miur dovrebbe fissare e definire con precisione le competenze terminali per ciascuna materia, i livelli essenziali dei saperi, i traguardi formativi così come è stato fatto per le lingue straniere. Ottenuta questa chiarezza, su cui i docenti baserebbero pure le programmazioni curricolari, il passo successivo sarebbe quello, non già di frazionare l’orario settimanale fra le materie, ma di concentralo per disciplina in modo che a conclusione di moduli compatti per discipline un esame ne certifichi le competenze per ciascun alunno.
Facciamo degli esempi. Le matterie più corpose di un corso di studi, quelle che hanno un totale di 4-5 ore a settimana e per un totale annuo di circa 120-130 ore, potrebbero essere concentrate nell’arco di un mese e mezzo, con corsi compatti e modulari sul tipo della full-immersion, come avviene per i corsi di lingua all’estero o per quelli di aggiornamento.
Invece cioè di fare la spola dalle varie aule in cui deve dividersi ogni giorno, all’insegnante verrebbe assegnata una sola classe con tutto il pacchetto delle ore previste nell’arco dell’anno, intervallate certamente da pause funzionali ai bisogni di alunni e professori.
A conclusione del ciclo, una verifica finale sulle griglie delle competenze predisposte dal Ministero, supportata comunque da altre in itinere, esprimerebbe il giudizio complessivo. 4/5 ore di insegnamento per 5 giorni consecutivi, potrebbero consentire fra l’altro l’uso esclusivo di una classe che risulterebbe una sorta di ufficio personale gestito da un solo insegnante, chiusa a chiave e all’interno della quale verrebbe risposto tutto il materiale didattico di cui c’è bisogno, compreso il computer, il registro elettronico, i compiti e quant’altro.
Concentrare due, tre pacchetti di materie pesanti in alcuni mesi, potrebbe pure voler dire avere a disposizione, a conclusione dell’iter formativo, un periodo di vacanze che non necessariamente venga a coincidere con quelle estive.
Sicuramente bisognerebbe trovare strategie educative e culturali un po’ diverse delle consuete, mentre una piccola rivoluzione sulle abitudini da anni stratificate si dovrebbe avviare. E ciascuna scuola, o gruppi di scuole consorziate, sulla base proprio di questa suddivisone, potrebbe pure pensare di introdurre i semestri, intercalando per esempio questi moduli di didattica compatta per le materie più pesanti con altre meno pesanti o con i laboratori, non lasciando inoltre intentata la via, seguita fra l’altro da tutti i paesi d’Europa, dello sfruttamento delle ore pomeridiane, recuperando così un giorno libero settimanale.
Che non è parola vuota ma carica di significato in funzione dei Weekend, i fine settimana tanto sfruttati nel nord d’Europa e che da noi, dove il clima meglio lo consente, potrebbe indurre alla breve gita verso luoghi turistici d’arte o di mare.
L’orario cosi come è oggi strutturato e dove sono previsti dalle 5 alle 6 ore settimanali, compreso il sabato, è frutto di un’antica cultura che non immaginava le ferie estive e nemmeno il turismo, ma non immaginava neppure i nuovi stimoli culturali legati al tempo libero.
In ogni caso per qualunque modifica in questa direzione, spalmando o contraendo, occorre che il Ministero metta all’opera i suoi esperti soprattutto in funzione delle competenze certificabili, tanto più necessarie quanto più improcrastinabili, sia per valutare meglio il livello di preparazione degli alunni, e sia per dare chiarezza anche agli esami di stato finali, non più con un voto unico ma con i livelli di preparazione raggiunti per singola disciplina.
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