Non accenna a placarsi l’annosa querelle del recupero delle frazioni orarie non prestate per motivi estranei alla didattica. Nonostante il Ministero sia intervenuto 2 volte, con 2 circolari e a ciò abbia fatto seguito anche la stipula di due accordi negoziali dello stesso segno, a quanto pare, la questione dei 10 minuti da recuperare o meno è tutt’altro che chiara.
E dunque proliferano, un po’in tutta Italia, i ricorsi al Giudice del lavoro, nel tentativo di acquisire pronunce della magistratura che pongano fine al contenzioso in atto. Pronunce che, peraltro, non sempre vanno nello stesso senso. E ciò a riprova del fatto che la diatriba è ancora lontana dalla soluzione. Il problema, come sempre, è nella scarsa chiarezza della normativa, che non enuclea la nozione di "causa di forza maggiore". E dunque, presidi e docenti, ogni volta che si trovano di fronte a problemi di questo tipo sono costretti a fare esercizio ermeneutica. E, quasi sempre, prevale il timore del maglio della Corte dei conti che, non di rado, spinge i dirigenti scolastici ad esigere recuperi anche quando non sono dovuti. Di qui i ricorsi al giudice ordinario che spesso si concludono con la condanna dell’amministrazione.
L’ultima sentenza, in ordine di arrivo, su questa querelle è stata emessa il 10 ottobre scorso da giudice di Reggio Emilia. Le motivazioni, peraltro, sono state rese note solo in questi giorni e parlano chiaro: quando la riduzione è dovuta alla necessità di consentire ai ragazzi di prendere i mezzi pubblici per tornare a casa in tempo per avere ore a sufficienza per studiare, il recupero non è dovuto. Il giudice monocratico ha anche condannato l’amministrazione a rifondere ai ricorrenti 3.300 euro per spese ed onorari.
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