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Ore eccedenti, non conviene accettarle: pagate pochi euro senza effetti sulla pensione

Spesso il dirigente chiede ai docenti, soprattutto di medie e superiori, di svolgere delle ore settimanali in più rispetto a quelle obbligatorie: sono le cosiddette ore “eccedenti”.

Al massimo, dice il contratto, se ne possono assegnare sei settimanali. Oltre, andrebbero a supplenza. Ovviamente, il docente più anche rifiutare i cosiddetti micro “spezzoni”. Spesso, invece, accetta. Ma conviene?

Secondo un professore 46enne di un istituto statale di Cremona, assolutamente no. Il prof, si chiama Sergio Mantovani, insegna geografia alle superiori: ha scritto al Corriere della Sera, che ha dato spazio alla sua lettera-denuncia.

Per il prof, che si è messo a fare i conti con la calcolatrice, la retribuzione di quelle ore è «da caporalato».

«Quattro euro all’ora, anzi due perché ho avuto la sfortuna di ammalarmi», ha scritto. «L’anno scorso ho lavorato con quattordici classi e trecento studenti, con passione e soddisfazione – racconta -. Quello che è successo però è kafkiano. Ci sono regole punitive se un insegnante decide di lavorare qualche ora in più, rispetto alle diciotto canoniche per cui siamo pagati mediamente 1.500 euro netti al mese. Quest’anno ho avuto la pessima idea di accettare “spezzoni di cattedra” per tre ore settimanali. Mai più», dice. 

«Fra ore extra e la decurtazione scattata per la malattia si raggiungono cifre offensive».

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«Confronto la busta paga calcolata sulle 21 ore con quella dell’anno prima, sulle 18. C’è una differenza di 67 euro netti, che divisi per quelle 12 ore mensili fa 5,58 euro. Occorre però considerare anche l’impegno extra aula, diciamo quattro ore al mese ed è sottostimato perché le ore aggiuntive erano in tre classi diverse quindi con rispettive verifiche da preparare e da correggere e riunioni fra docenti. Quindi ricalcolo la cifra, 67 diviso 16 ore e si arriva a 4,18 euro». Non è finita. «Vedo che c’è la “decurtazione Brunetta”» per la malattia «che scatta nonostante la visita fiscale e anche se finisci all’ospedale con il morbillo e complicazioni, polmonite compresa, come è successo a me. Perché ammalarsi non è ammesso, come se noi statali fossimo tutti furbetti del cartellino».

Il compenso, tra l’altro, si riduce ancora «per la colpa di aver lavorato tre ore in più», secondo l’insegnante. «Con cinque giorni di malattia a causa della maggiore decurtazione legata alle ore extra la riduzione risulta di 43 euro, se li scalo ai 67 ne restano 24 per quelle dodici ore mensili che la scuola mi ha proposto di fare e che alla fine valgono due euro», conclude il quotidiano.

Al Corriere della Sera quella cifra è sembrata davvero troppo bassa. Il quotidiano ha così chiesto alla Cgil, che però non ha smentito ma ha posto qualche dubbio: «Potrebbe anche essersi trattato di un errore, non ci risultano compensi così bassi», hanno risposto dal sindacato.

In effetti, la cifra indicata dal prof che insegna a Cremona è bassina. Ma nemmeno molto lontana dalla verità. Sempre se si considera il tempo che il docente deve occupare in più per preparare le lezioni aggiuntive, correggere i compiti, partecipare a consigli di classe, scrutini, eventuali esami e diverse altre incombenze che diventano proprie nel momento in cui si acquisiscono una o più classi.

Senza considerare che quelle ore si sottraggono ai colleghi precari, i quali beneficerebbero di una paga maggiore e dell’anzianità di servizio utile in fase di aggiornamento delle graduatorie.

Tra l’altro, tranne i rari casi vengono istituzionalmente legate alle 18 canoniche, ovvero quando la cattedra non si può ricondurre diversamente, come confermato dal Mef con nota 32509 del 6 aprile 2016, le ore eccedenti da qualche anno vengono pagate sino al 30 giugno dell’anno successivo.

E, beffa finale, come tutti i compensi non assegnati per tutto l’anno scolastico (quindi fino al 31 agosto), non portano nemmeno contributi previdenziali in surplus. In pratica, non incidono nemmeno sull’assegno pensionistico.

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Alessandro Giuliani

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