Poco meno di un anno fa il Consiglio dei Ministri approvava un disegno di legge finalizzato alla emanazione di norme per la semplificazione e la codificazione in materia di scuola e università.
Il provvedimento fu depositato al Senato dove è tuttora fermo e dove, anzi, non è ancora stato calendarizzato.
Nel concreto il provvedimento prevede l’adozione di una legge delega che dovrebbe consentire al Governo di emanare specifici decreti legislativi per la revisione del Testo unico sull’istruzione risalente al 1994 e cioè a più di un quarto di secolo fa.
D’altronde, si legge nella relazione introduttiva della proposta del Governo, il TU del 1994 “non risulta più coerente con la legislazione vigente, a seguito dei numerosi interventi di riforma in materia di istruzione e di pubblico impiego”.
Infatti, spiegano gli estensori della delega, “si registrano antinomie giuridiche dovute al mancato coordinamento con gli interventi, anche d’urgenza, che si sono succeduti nel tempo, a cui non è seguita un’armonizzazione della disciplina”.
“In particolare – si legge ancora – il testo unico non è in larga parte allineato né con l’introduzione dell’autonomia, a cui è conseguito un nuovo assetto istituzionale, ordinamentale e amministrativo, e con la sua costituzionalizzazione, né con la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni a seguito dell’approvazione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione”.
Per la verità non da oggi si parla di riscrivere il testo unico dell’istruzione che contiene disposizioni di molto antecedenti agli anni ’90: l’intero “capitolo” sugli organi collegiali, per esempio, risale al 1974, anno in cui vennero approvati i cosiddetti “decreti delegati”.
Nel corso degli anni i tentativi di mettere mano ai vecchi decreti del ’74 si sono succeduti senza nessun risultato; a metà degli anni ’90 venne anche approvata una legge che prevedeva il riordino dell’intera materia e che, in attesa di nuove regole, prorogava gli organi collegiali esistenti, ad esclusione dei consigli provinciali e di quelli distrettuali che vennero di fatto soppressi.
Tanto che per più di 15 anni lo stesso Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione operò in regime di “prorogatio” fino a che il Consiglio di Stato non impose al Ministero di aprire le procedure per le elezioni del nuovo organo previsto dalla legge, il CSPI (Consiglio superiore della pubblica istruzione).
Difficile dire se questo nuovo tentativo potrà andare in porto.
Per il momento, comunque, il disegno di legge è fermo al Senato e, se anche l’esame dovesse prendere avvio subito, ci vorrebbero almeno 6 mesi per vederne la conclusione.
Diciamo che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe diventare legge durante l’estate. A quel punto inizierebbe il percorso per la stesura dei decreti delegati che per la quale il Governo avrà tempo esattamente 24 mesi (lo prevede proprio il disegno di legge stesso).
In conclusione nel 2022 potrebbero arrivare le nuove regole che, per essere applicate, potrebbero necessitare anche di qualche decreto ministeriale applicativo.
In definitiva, il nuovo Testo Unico potrebbe essere operativo a partire dal 2023/24, giusto in tempo per le “celebrazioni” del 50° anniversario dei mitici “decreti delegati” del 1974 previsti appunto da una legge delega dell’anno precedente.
Forse non sarebbe male ricordare che 50 anni è esattamente il tempo trascorso dalla Guerra di Libia agli anni del boom economico o, se si preferisce, dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni di Tangentopoli o ancora dalla “Breccia di Porta Pia” alla fine della “Grande Guerra” (per la verità in questo caso si tratta solamente di 48 anni).
Insomma, nella scuola italiana anche le riforme più banali necessitano di tempi storici, quasi biblici.
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