In questo momento di scetticismo nei confronti del sapere, delle conoscenze, delle competenze, ritornare ai fondamentali è un po’ come ritornare a casa, alle cose essenziali, al di là delle polemiche, delle incomprensioni, delle diffidenze.
E ritornare a casa, nel campo del sapere e della formazione al sapere, è ripensare anzitutto al mondo della scuola, cioè alla base indispensabile per i nostri bambini e ragazzi, ma anche per tutti noi. Perché la formazione non è solo iniziale, ma continua, per tutte le fasi della nostra vita. Perché la vita stessa é domanda di sapere, oltre le opinioni, le certezze, le interpretazioni, i punti di vista più o meno qualificati.
Ritornare, dunque, a casa, ai fondamentali della vita, è una buona terapia mentale, che vale per tutti. E questa modalità troppo spesso ce la dimentichiamo, mentre è la prima forma di salute.
Aprendosi, infine, in questo mese di novembre il percorso di orientamento alla scelta della scuola per il prossimo anno scolastico, questo ritornare all’essenziale spero possa essere un utile esercizio per tutti: soprattutto per i genitori, per gli studenti, per i docenti.
Qual è lo scopo della scuola, dunque, oggi più di ieri? Vorrei ricordare la cosa più semplice, più vera, al di là dei giochi di immagine, degli usi strumentali anche dei risultati scolastici, delle classifiche, dei voti assegnati. La scuola oggi è chiamata ad essere la “casa di tutti”. Per cui non ha lo scopo di selezionare i “migliori”, ma, più concretamente, di fare in modo che emerga in tutti “la parte migliore di se stessi”.
Lo ripeto: non i migliori, ma la parte migliore di se stessi. Lo sappiamo, è attraverso la scuola, la prima agenzia educativa al di là di tutti i frammenti di esperienza e di conoscenza che riempiono le nostre giornate, che tutti i nostri bambini e ragazzi si aprono alla vita.
Prima delle materie, degli indirizzi di studio, delle proposte culturali, delle mille nozioni ed informazioni. La scuola apre alla vita. Ed in questa apertura, gli alunni sono chiamati a capire al volo che la nostra cruna dell’ago si chiama valutazione, il lasciapassare verso le nuove tappe non solo scolastiche.
Vorrei però precisare però una cosa. Che la valutazione non va assolutizzata, essendo uno strumento che ha come finalità la autovalutazione, cioè la autocoscienza di tutti i ragazzi verso la loro maturazione come persone, prima che come studenti.
Si può, di tanto in tanto, incappare in qualche brutto voto? È normale anche questo, perché tutto fa esperienza, tutto aiuta a capire il valore ed i limiti di noi stessi, tutto può essere spinta verso il miglioramento continuo. Perché è sbagliando che si impara. E chi pretendesse di non sbagliare mai? Prima o poi la vita insegna che la testa da qualche parte la sbattiamo, e questo è un bene.
Ma la valutazione, anche se problematica (chi non ha incontrato docenti che hanno metri di giudizio diversi?), non ha come obiettivo la valutazione della persona, ma solo una qualche “misurazione” del proprio percorso di studio. Sapendo che lo sguardo finale è rivolto verso la personalità di ogni ragazzo, non solo verso alcune prestazioni su alcuni materie.
In questo sguardo, nessuno dei nostri ragazzi non ha talenti, attitudini, sensibilità. Ma le hanno in modo diverso. Dovremmo rileggere bene la parabola evangelica dei talenti. Valutare, per chiudere, è valorizzare i talenti, le passioni, le motivazioni.
Tutto qui questo mix porta alla maturazione del nostro carattere, del nostro temperamento, della nostra personalità. Dunque, valorizzare la parte migliore di noi stessi. Solo in questo modo, la valutazione si può trasformare in autovalutazione, cioè in un investimento personalizzato.
L’unico vero antidoto alla noia, alla demotivazione, veri nemici della scuola di oggi. Questo è il vero senso del “merito”, oltre la cruda selezione darwiniana. Per cui, e concludo, non badate e non badiamo alle varie classificazioni tra scuole, ad esempio tra indirizzi di studio nelle superiori, con i licei privilegiati a danno degli indirizzi tecnici e professionali.
Pre-giudizi da sconfiggere, pregiudizi solo mentali mentre sono già stati sconfitti dalla realtà effettuale, per chi la conosce.
Scuola dunque come formazione di base a tutto tondo, con una finalità che rompe, se fatta bene, le precomprensioni e le fasulle gerarchie sociali.
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