Il noto psichiatra Vittorino Andreoli ha recentemente sottolineato come il nonnismo sia un fenomeno eminentemente legato alle dinamiche di gruppo. Come anche il bullismo e ilmobbing, il nonnismo tende a contrapporre, all’interno di una comunità, le posizioni di forza a quelle più svantaggiate, chi ha più potere a chi ne ha meno o nessuno, chi lavora da maggior tempo in un luogo, istituzione o azienda a chi vi lavora da meno tempo. Le ragioni che inducono a un simile comportamento sono per un verso ingiustificate razionalmente, e dunque gratuite, per altro verso sono poco originali, in quanto hanno la loro origine nel comportamento animale. Più in particolare, trovano un riscontro significativo in quello specifico comportamento che in etologia è noto come “ordine di beccata”.
Si tratta di un comportamento che appare in tutti i gruppi animali ed è volto a stabilire una gerarchia tra i suoi componenti: in base ad esso si può decidere chi debba godere di certi privilegi e chi invece debba, ad esempio, avere un ruolo più marginale e svolgere le mansioni meno gratificanti. Sempre in etologia, del resto, anche il mobbing ha un senso diverso da quello che ha nelle società umane, perché nel mondo animale esso designa l’insieme dei comportamenti aggressivi che vengono adottati da certe specie di uccelli quando devono difendersi da un predatore.
A differenza di quanto accade però nel mondo animale, dove una simile procedura ha dei vantaggi per la vita della comunità, in quanto la gerarchia viene stabilita in base a criteri che sono utili alla sopravvivenza della stessa e alla sua efficienza complessiva, quando essa si ripropone nel mondo umano, nei modi in cui nonnismo, bullismo o mobbing la mettono in atto, non ne ha alcuna. Anzi: poiché i criteri ai quali tali attività sono improntate sono per lo più arbitrari e ingiusti, e comunque non meritocratici, esse hanno conseguenze decisamente negative sulla vita della stessa comunità in cui vengono esercitate. Inoltre, gli effetti di simili procedure discriminatorie possono essere pesanti e deprimenti per chi le subisce, tanto che, in un ambiente di lavoro, questi può essere indotto a dimettersi, o addirittura può finire col contrarre delle vere e proprie malattie.
La scuola è da tempo impegnata a contrastare un fenomeno come il bullismo, che tra gli studenti può avere vari risvolti dolorosi o addirittura tragici, ma non fa altrettanto quando dinamiche simili intervengono, ancorché in maniera senz’altro meno pericolosa e violenta, a regolare i rapporti tra docenti. Anzi, le attuali disposizioni previste dalla più recente riforma sembrano aver favorito tali dinamiche, con conseguenze non positive sulla didattica e soprattutto sui rapporti personali tra docenti privilegiati e docenti penalizzati, oltre che sulla dignità professionale di questi ultimi.
Le numerose testimonianze di quanto sta succedendo ai docenti destinati al “potenziamento” dopo l’entrata in vigore della legge sulla “buona scuola” ha degli aspetti inquietanti, anche perché, oltre al “nonnismo”, si profila in taluni casi estremi persino l’ipotesi che possa configurarsi il reato di “mobbing”, che a sua volta, non dimentichiamolo, può essere equiparato a una sorta di “bullismo di esclusione”, ovvero a quel tipo di bullismo in cui il gruppo si fa forza escludendo alcuni suoi membri. Come Anselmo Penna ricorda su Orizzonte scuola (13 Settembre 2016), è notizia recente quella dell’utilizzo di docenti “per effettuare lavoro di segreteria con lo scopo di ricercare supplenti per la scuola”.
Nella maggior parte dei casi segnalati, tuttavia, agli insegnanti destinati al potenziamento sono generalmente affidate le sostituzioni. Fino a qualche anno fa, quasi tutti i docenti avevano almeno due o tre ore destinate a quest’attività indispensabile per il funzionamento di ogni scuola. Quasi nessuno se ne lamentava: era considerata necessaria e in qualche caso utile, anche perché quando non si era impegnati nelle sostituzioni si potevano compiere alcune attività comunque utili alla didattica. Poi, per motivi di carattere economico, queste ore “a disposizione” sono state eliminate. Oggi, con l’ultima riforma, sono invece state reintrodotte, per essere però massicciamente e arbitrariamente affidate agli insegnanti sul potenziamento.
Questi sono spesso semplicemente gli ultimi arrivati in una certa scuola in seguito a un trasferimento. Senza che venga loro data nemmeno una spiegazione, non è infrequente che siano destinati alle sostituzione per una parte cospicua del loro orario di lavoro, quando non per la sua totalità. In qualche caso cercano in effetti di dare vita ad attività integrative di “potenziamento”, ma non sempre questo è possibile, anche perché gli studenti sono già impegnati in attività che sottraggono loro molto tempo, come ad esempio, oltre allo svolgimento dei compiti a casa, quelle legate all’alternanza scuola-lavoro, da due anni divenuta obbligatoria.
Tutto questo sarebbe evitabile se le ore a disposizione fossero equamente distribuite tra tutti i docenti, senza discriminazioni o privilegi, com’era una volta. Ciò sarebbe anche più in linea con le direttive generali della stessa riforma, che là dove parla di “organico dell’autonomia” non prevede distinzioni aprioristiche tra docenti destinati al potenziamento e altri destinati alla didattica su cattedra. Si potrebbe così evitare che molti docenti siano relegati al ruolo di “tappabuchi” senza che abbiano fatto nulla per meritare una simile degradazione della loro attività didattica.
Che di degradazione in effetti si tratti è attestato in maniera evidente dalla circostanza che vede la quasi totalità dei docenti voler evitare di finire nel così detto “potenziamento”. Molti, però, e indipendentemente dai loro meriti passati e presenti, dal loro impegno, dai loro titoli, dalle loro pubblicazioni, e soprattutto senza che siano state fornire spiegazioni trasparenti, si ritrovano in questa circostanza.
Il partito silenzioso dei “nonnisti” – se si annoverano tra questi anche coloro che lo sono involontariamente, magari soltanto per il fatto di aver assecondato in maniera, appunto, “silente”, simili disposizioni della dirigenza – risulta oggi di fatto maggioritario. Che si stiano indirettamente mobbizzando alcuni colleghi non sembra un loro problema, oppure è un problema che non hanno avuto occasione di porsi. Per fortuna, tuttavia, molti altri il problema se lo sono posto e hanno dichiarato pubblicamente la loro disponibilità a fare ciò che si faceva qualche tempo fa: dividersi equamente le ore da destinare al potenziamento, sia che questo venga poi attuato come vero “potenziamento” sia che venga realizzato per attività di “sostituzione”. Peccato che questi ultimi siano stati, sino ad oggi, poco ascoltati. Non bisogna tuttavia demordere e lasciare ogni speranza: come diceva un grande maestro, non è mai troppo tardi per un ripensamento.
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