Dopo aver annunciato la “guerra” contro gli statali “furbetti del cartellino”, il Governo Renzi punta il dito contro i dirigenti pubblici.
Lo si evince leggendo la bozza del decreto di riforma della dirigenza, capitanato dal ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia. Ebbene, una volta approvato, i dirigenti che non raggiungeranno gli obiettivi fissati rischieranno sia lo stipendio sia il mantenimento del posto.
Il provvedimento riprende le direttrici della delega al ministro per la P.A., con l’abolizione delle fasce, la creazione di ruoli unici e nuove regole sull’accesso.
Anche vincere il concorso non dà più una garanzia a 360 gradi, per essere confermati occorre passare anche un esame.
Non è chiaro, tuttavia, se le novità riguarderanno in toto anche anche i dirigenti scolastici. I quali, già, con la Buona Scuola, sono sottoposti ad un regime di valutazione periodico. Oltre che all’assegnazione dei finanziamenti legati al “merito”, sulla base delle risultanze emerse ad ogni fine anno scolastico.
Di sicuro, per gli ‘esterni’, si andrà verso una soglia unica del 10%, il che porterebbe a una stretta rispetto alle attuali finestre (fino al 30% negli enti locali).
Tornando alla dirigenza ‘interna’, trovano conferma le indiscrezioni già emerse, per cui se un dirigente rimane senza incarico per sei anni e il suo ultimo mandato si era chiuso con una ‘bocciatura’ allora decade. Non solo, per ogni anno che passa ci sarà un taglio del 10% della paga base. Per non perdere il lavoro si potrà anche optare per un declassamento a funzionario e se c’è l’accordo con l’amministrazione, pur di non restare a casa, si potrà essere anche al servizio di enti no profit.
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La ‘vigilanza’ sulla dirigenza sarà affidata a una Commissione ad hoc, che, a livello di P.A. centrale, terrà le redini sul conferimento degli incarichi, sulle selezioni e avrà poteri sui procedimenti disciplinari per il licenziamento. Guardando a chi un incarico lo ha ottenuto, non è detto che tutto fili liscio: se si sta sotto i target previsti per quell’ufficio non si può essere rinnovati (la formula è 4+2) e in relazione “alla gravità dei casi” si può anche procedere alla revoca. Quanto meno si esce con una paga più leggera: la retribuzione di risultato può essere decurtata “fino all’80%”.
Tra le altre novità – scrive l’Ansa – anche la banca dati del sistema della dirigenza pubblica, con curriculum e ‘pagelle’. Inoltre viene sancita la cadenza annuale dei concorsi, con l’accesso consentito solo a quanti muniti almeno di laurea specialistica e la conferma solo dopo un periodo di prova di tre anni, altrimenti si resta quadri. E ancora un articolo è dedicato alla nuova Scuola nazionale dell’amministrazione, che dovrebbe diventare un’agenzia. I sindacati dei dirigenti aspettano di vedere come sarà affrontato il tema della valutazione, per l’Unadis “il vero nodo”. Fin qui per secondo il segretario generale dell’organizzazione, Barbara Casagrande, “il sistema premiale non si intravede”, con il rischio che si perda l’incarico non “per una vera responsabilità ma per puro arbitrio”.
La stesura del testo, che per adesso conta 23 articoli, è ancora in corso. Per ora si tratta quindi solo di un primo quadro che dovrà essere completato, tanti sono gli spazi bianchi, e soprattutto si dovrà decidere se collegare il decreto al Testo Unico sul pubblico impiego. Quanto ai tempi, l’obiettivo è quello di essere pronti con la versione definitiva entro luglio, insieme al secondo ‘pacchetto Madia’. Per il T.U. sugli statali invece i margini sono più comodi e coincidono con la fine dell’anno.
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