Il conflitto attualmente in corso ci proietta in una dimensione tenebrosa ma nuova, insicura ma in cui l’Europa e il mondo intero, sia costituito da realtà politiche sia da popoli liberi o meno, hanno l’occasione di vibrare assieme affermando l’ostilità a qualunque azione militare in corso, non limitata, almeno per il momento, al territorio dell’Ucraina tutta.
La pace, come si è appreso, si deve realizzare attraverso dialogo e comprensione, ma soprattutto occorre realizzarla sulla consapevolezza storica, ovviando naturalmente qualunque inquinamento con la percezione collettiva di un evento, non corrispondente ai fatti avvenuti, ma solo ad un attaccamento emotivo ad un avvenimento storico.
Occorre valutare con attenzione le ragioni, le responsabilità collettive di chi invade, di chi fa guerra, di chi la riceve, di chi resta a guardare con impotenza. Occorre, possibilmente, affidare i processi di risoluzione al dialogo ed alla diplomazia, cercando di comprendere la posizione e tutte le possibili accezioni geopolitiche di un mondo ancora pericolosamente bi o tripolare, in cui le intenzioni delle superpotenze sono attualmente a scapito di mere realtà statali, utilizzati come campi di battaglia da queste ultime al fine di affermare la loro predominanza militare.
Ma in quel territorio, Ucraina, Yemen, Siria, Cipro Nord, Serbia ci sono stati e ci sono civili, bambini, donne e anziani.
Il concetto di pace, nelle sue complesse situazioni, vuole fare riferimento ad una situazione di stabilità, dialogo e allineamento degli obiettivi delle nazioni al fine di evitare dissapori che possano concretizzarsi in azioni militari, maltrattamenti, operazioni di segregazione a danno di intere popolazioni solo per l’appartenenza etnica.
Tale concetto, invocato in più occasioni, può essere raggiunto attraverso strumenti diplomatici, sperando che questi guidino l’irrazionale spinta autodistruttiva di un determinato paese verso il dialogo, il confronto e la consapevolezza. Ogni parte in causa, come di consueto, è invitata a mettere sul piatto della conversazione e del confronto le proprie responsabilità, i propri fini, le proprie negligenze di cui si è macchiata in passato, nonché dei validi tentativi di risoluzione.
Un mondo unipolare di sanzioni, strumenti per garantire l’isolamento di realtà nazionali – come abbiam visto in questi ultimi decenni – hanno colpito generalmente i civili, impossibilitati a trasferire denaro, a compiere transazioni sul web e ad avere un impiego presso aziende multinazionali costrette a licenziare perché il loro settore risulta colpito e affondato da risoluzioni economiche decise altrove, magari a decine di migliaia di chilometri di distanza.
Lo sviluppo tecnologico ci permetterebbe, a patto di detenerlo al meglio senza monopoli, di sviluppare uno stile di vita compatibile con l’ambiente, garantendo standard qualitativi d’alto profilo e ovviando tensioni sociali ed economiche tra stati, che spesso sono sfociate in azioni militari al fine di impadronirsi delle risorse di un paese liquidando le sue casse e le rispettive capacità di difesa. Lo spirito autocritico, appreso a scuola, è fondamentale anche per ovviare future tensioni e dissapori tra civiltà, in cui ognuna fa presente le proprie responsabilità.
I media devono tornare a descrivere le situazioni nella loro integrità, evitando inutili forzature e demonizzazioni che allontanano il telespettatore – in particolare se giovane – dalla comprensione globale di un dato evento. L’informazione informa, la scuola e i supporti bibliografici formano l’individuo, non dimentichiamolo. Occorre formare giovani che pongano da parte convinzioni non funzionali al dialogo, all’autocritica, alla responsabilità collettiva di un dato evento o processo storico, positivo e tragico per l’umanità.
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