Gli italiani muoiono troppo tardi e ciò incide negativamente sui conti dell’Inps. A dirlo non è stato il presidente dell’ente nazionale della previdenza sociale: l’espressione sarebbe stata sicuramente infelice, ma forse comprensibile. Perché, pur nel suo estremo cinismo, un concetto del genere te lo aspetti da chi ricopre un ruolo istituzionale a capo dell’ente di previdenza a secco di quattrini.
Invece, a dirlo è stato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. E la circostanza è decisamente grave.
Considerando l’alta rilevanza che assume il Mef nell’indirizzo di Governo, viene da pensare che il concetto espresso dal responsabile del dicastero dell’Economia possa essere condiviso anche dagli altri rappresentanti dell’Esecutivo.
Allora, la domanda sorge spontanea: è questo il pensiero del Governo sugli italiani in pensione? Per chi gestisce le sorti del Paese, può essere diventato un problema se i cittadini vivono a lungo? Evidentemente sì.
A parte il fatto che nell’ultimo biennio (complice la stretta sui finanziamenti alla prevenzione delle malattie) l’aspettativa di vita si è ridotta, forse varrebbe la pena fermarsi un minuto. E riflettere.
A cosa serve la politica? Non forse a gestire al meglio le risorse pubbliche per assicurare benessere, salute e lavoro ai propri cittadini? Perché, allora, un esponente del Governo si lascia andare ad espressioni di tenore opposto?
Perché una delle più alte cariche dello Stato deve sperare che gli insegnanti, obbligati a lasciare il lavoro quasi a 70 anni, se ne vadano a vita migliore prima possibile?
Chi ha versato tra i 35 e i 43 anni di contributi, non merita almeno di riaverli sotto forma di pensione per almeno la metà di quegli anni?
Speriamo che Padoan chiarisca cosa volesse realmente dire. Non possiamo pensare che il bene delle casse dello Stato italiano sia diventato più importante degli italiani. Significherebbe aver sbagliato tutto.
Signor ministro, ci stupisca. Magari spiegando che le è sfuggita una battuta infelice. O, più semplicemente, chieda scusa.
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