Prendendo spunto dal Corriere della Sera del 13 febbraio, che titolava “Milano, esuberi nei licei scientifici: «Costretti iscriverci alle paritarie»”, Padre Eraldo Cacchione SJ (preside del Licei Gonzaga di Palermo) pubblicava su Tecnica della Scuola un articolo a favore della “competizione fra scuola statale e paritaria”.
L’articolo di Padre Cacchione concludeva con “Invito tutti gli operatori del mondo scuola ad una seria riflessione e a un dibattito su questi punti”; anche senza questo esplicito invito, sarebbe stato comunque opportuno precisare e dibattere alcuni argomenti.
La prima considerazione è che riflessioni e dibattito sono già in atto in rete e sui social, dove si può individuare un “gruppo di pressione pro-paritarie” che sostiene la richiesta della c.d. “parità completa” cioè finanziamenti statali alle scuole paritarie pari e identici a quelli alle scuola statali: qualcosa come 6 mld di euro tramite l’escamotage del costo standard, che bisognerebbe applicare anche alle scuole statali, bla bla bla.
Padre Cacchione è sicuramente al corrente di questa iniziativa e sarebbe interessante conoscere cosa ne pensa.
La seconda considerazione riguarda la notizia riportata dal Corriere nell’articolo linkato di Federica Cavadini. Gli esuberi delle iscrizioni nei licei scientifici o anche classici si sono già verificati negli anni precedenti e l’UST di Milano ha provveduto poi a soluzioni ottimali prima dell’inizio dell’a.s.. La frase «Costretti a iscriverci alle paritarie» va (o può essere) interpretata come implicita preferenza delle famiglie per le scuole statali rispetto alle paritarie. I licei milanesi sono da tempo attrezzati (non sono impreparati) per gestire situazioni di richieste di iscrizioni eccedenti le loro disponibilità; ad esempio l’Einstein ha una precisa procedura “Criteri di accoglienza alle classi prime in caso di esubero”, e così presumibilmente le altre scuole milanesi e non.
Veniamo ai “Dirigenti Scolastici delle scuole statali sono dei manager”; questa affermazione si collega ed è conseguenza dell’identificazione – sbagliata – della Scuola con l’Azienda e del Preside trasformato in Dirigente Scolastico; Manager è poi un’estrapolazione accattivante, pubblicitaria e di marketing, usata per simulare sostanza e concretezza a un riforma quasi solo nominale e di facciata. Infatti il riferimento è una Azienda privata, mitizzata, virtuosa, efficiente, vincente, meritocratica, produttrice di utili e benessere, ecc. ecc. e ai suoi Manager con gli stessi aggettivi, e anche di più: quasi santi taumaturghi insomma. La realtà di Aziende e Manager è diversa, con irregolarità amministrative e anche penali, favoritismi, nepotismi, delocalizzazioni, richieste di aiuti di Stato …. e fermiamoci qui.
La Scuola non può essere Azienda perché non produce e non vende beni o servizi quantificabili, non compila bilanci con entrate, uscite, guadagni o perdite, non ha capitale sociale, né proprietari o azionisti; il servizio fornito dalla scuola è di tipo qualitativo, non misurabile oggettivamente, valutabile empiricamente con risultati che dipendono dalle modalità e dalle caratteristiche della valutazione e dei valutatori. La scuola non deve e non può ricavare utili economici. Dal punto di vista economico la scuola non produce, consuma.
Valutare o auto-valutare una scuola in base alle promozioni e ai voti assegnati agli studenti è quello che ora generalmente si fa, ma non è cosa seria perché produce valutazioni esagerate, promozioni sicure e automatiche, anche a fronte di preparazioni inadeguate, con conseguente riduzione e scadimento generale della qualità e dei contenuti. Anche per questo, il preside, rinominato dirigente scolastico, è tutt’altro che un manager, nel senso che si vorrebbe far intendere, ma è e resta un super-burocrate tuttofare agli ordini e al guinzaglio corto del Miur.
Infatti c’è chi segnala il caos della dirigenza scolastica, il prevalere della burocrazia, e che per rimediare “Servirebbero manager privati” (sic! e senza indicare però dove e come andarli a prendere!); ciò è a conferma della scarsa e impropria managerialità (non professionalità, sia chiaro) attribuita agli ex-presidi.
La competizione fra scuole dovrebbe essere la modalità per migliorare (gratuitamente?) la qualità dell’insegnamento, secondo Padre Cacchione ed anche altri. Questa però è una affermazione gratuita, fondata sul niente, o meglio sull’idea o teoria di scuole-aziende che dovrebbero contendersi il “mercato” degli studenti. Una competizione che non premia nessuno, ma che punisce i meno validi! E poi se i voti e le promozioni sono quelli che determinano le scelte delle famiglie, queste saranno indotte a scegliere per i figli la scuola più facile e generosa anziché quella più seria, o no? Difatti – con il criterio della competizione condiscendente e al ribasso – la nostra scuola è scaduta notevolmente di qualità. E non si capisce quale sia il vantaggio a livello nazionale sia della situazione reale conseguente, sia di quella prospettata (cioè poche scuole buone e le altre non buone). Infatti in Finlandia, indicata come esempio da imitare, “tutte le scuole pubbliche sono di ugual livello (cioè buono). Questo significa omogeneità dell’istruzione e non istituti di serie A e di serie B: tutti frequentano la loro scuola di zona”.
In realtà la concorrenza fra scuole dovrebbe svolgere il ruolo utilitaristico e immediato: 1°) di sollevare i decisori politici dalla loro responsabilità di provvedere a migliorare le scuole e di portarle – tutte – a un livello almeno buono, e 2*°) di distrarre l’opinione pubblica e lo stesso mondo della Scuola dal problema centrale costituito dagli scarsissimi finanziamenti attribuiti al settore istruzione. La concorrenza fra scuole appare come la proposta di una gara di nuoto rivolta a naufraghi da salvare.
Infine, la competizione o concorrenza fra scuola statale e paritaria è qualcosa di improponibile, illusorio, asimmetrico, provocatorio, anche arrogante vista la enorme sproporzione fra numero di studenti statali e numero di studenti delle paritarie, e considerato il fatto lo Stato deve provvedere scuole di tutti i tipi e su tutto il territorio nazionale, mentre le paritarie possono selezionare e scegliere e – guarda caso! – sono maggiormente presenti dove gli abitanti sono più ricchi.
Il “gruppo di pressione pro-paritarie” continua a proporre e decantare la competizione per giustificare in qualche modo il finanziamento tramite voucher o costo standard, che eliminerebbe la retta delle paritarie allineandole alle statali; allineamento però fittizio perché mai potrebbe porre gli studenti nelle stesse condizioni di partenza per quanto riguarda le situazioni familiari economiche, culturali e lavorative.
(Un ruolo simile alla concorrenza fra scuole è quello assegnato al bonus merito per i docenti).
La scuola statale è a carico della collettività, per gli studenti risulta invece gratuita (o quasi, tranne piccoli contributi, costo di libri, altro materiale didattico) sia per il periodo dell’obbligo scolastico (8 + 2 anni) e sia anche in seguito, fino all’università, dove però le tasse sono maggiori, e gli studenti fuori sede devono accollarsi anche spese di alloggio, vitto e viaggio.
(Risulta che alcune nazioni del Nord Europa, oltre a retribuire meglio o molto meglio i docenti, sgravano gli universitari dei costi relativi al soggiorno fuori sede e danno loro anche una retribuzione, sono “pagati per studiare”, e ci sono “università aperte 24 ore su 24 e la maggior parte hanno un anche un asilo nido”).
Veniamo alla considerazione relativa alla giustizia, o meglio all’ingiustizia, termine che ricorre insistente – ben otto volte – nell’articolo di Padre Cacchione. Per meglio intenderci, per cercare di capire le diverse posizioni, può essere utile indicare a quale definizione o significato di giustizia si fa riferimento. L’Istituto Treccani riporta: “giustizia: volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge” e questo ci appare come un punto di partenza buono, semplice e condivisibile.
Appare allora chiaro che non c’è un solo piano di riferimento per giustizia e ingiustizia. Ma c’è il piano della legge vigente (attuale, oggettivo, riconosciuto) e c’è, anzi ci sono i piani relativi alle varie richieste e aspettative, di provenienze e interessi diversi, e questi sono piani futuri, soggettivi, opinabili, ancora da realizzare; e che per diventare legge hanno bisogno di azioni politiche.
Confusione e contrasti si verificano quando si mischiano (a volte inconsapevolmente, altre volte strumentalmente) i diversi piani: oggettivo e soggettivi, attuale e auspicati. Ed quello che accade con le scuole paritarie che presentano e auto-proclamano come “giuste” le loro richieste e “ingiusto” ciò che le ostacola, le mette in discussione o non le sostiene, arrivando fino a indicare come “ingiusta” la stessa legge vigente.
Ed è proprio quello che accade nell’articolo del bravo preside Padre Eraldo Cacchione quando elenca una decina di “ingiustizie”; una ad esempio: “C’è dunque una ingiustizia patente, perché per andare in una scuola paritaria la famiglia, sappiamo, deve pagare due volte: le tasse allo Stato e la retta alla scuola ‘privata’”. Ma la legge attuale non “obbliga” nessuno ad andare in una scuola paritaria, chi lo fa “sceglie” liberamente; e poi nessuno paga due volte, perché le tasse non corrispondono a una retta scolastica e poi paga le tasse anche chi non ha figli in età scolare.
In generale non è vero. Dati Ocse testimoniano invece che “In Italia la scuola pubblica prepara meglio della privata” anche se “Il settore privato vanta sicuramente alcuni istituti di eccellenza”, come è riportato nel blog ValigiaBlu e in diversi altri siti.
Utili informazioni di tipo statistico per meglio comprendere il mondo delle scuole paritarie cattoliche si possono avere dal rapporto “Venti anni di scuola cattolica in cifre (1997-2018)” del CSSC. Si ha conferma che il personale docente religioso (suore, preti, frati) in venti anni si è più che dimezzato in percentuale passando dal 30-40% al 10-15%. E l’ Annuarium Statisticum Ecclesiae della CEI riporta che dal 2002 al 2012 il n. delle suore è crollato da 108.175 a 86.431 e il n. dei sacerdoti da 52.877 a 48.291.
Al fenomeno della laicizzazione si accompagna quello della femminilizzazione con donne e suore in netta prevalenza nelle scuole d’Infanzia e Primarie, le donne sono anche prevalenti nella scuola Secondaria dove presumibilmente il personale religioso maschile è presente in maggioranza (ma non risultano dati).
I dati statistici del CSSC non forniscono informazioni atte a una concreta identificazione delle varie realtà scolastiche, tanto che recentemente (23 e 24 febbraio) l’USMI ha deciso “di avviare un serio ‘censimento’ delle scuole cattoliche gestite da Istituti religiosi femminili o che agli Istituti fanno riferimento”; aderiscono all’USMI oltre 600 Congregazioni femminili italiane, suddivise in oltre 10.000 comunità.
Gli istituti religiosi maschili potrebbero utilmente adottare un’iniziativa analoga a quella dell’USMI.
Vincenzo Pascuzzi
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