Può una donna, che di professione fa l’insegnante, partecipare attivamente alla rapina di una banca, essere processata, condannata, e poi tornare dietro la cattedra? A questa domanda, di non facile soluzione, visto che i due anni di pena inflitti per concorso in rapina sono stati sospesi e la docente avrebbe diritto a riprendere la sua normale attività professionale, deve ora rispondere il giudice civile.
È a lui, infatti che la donna, A.M., residente a Carini (Palermo), si è rivolta rivendicando il diritto al lavoro.
I fatti sono questi. Nel 2009 l’allora professoressa era stata arrestata per aver fatto da complice a una banda che ha rapinato, portando via un bottino di 13mila euro, la filiale di via Marsala della “Banca Nuova” a Trapani. La donna ha poi patteggiato la condanna per concorso in rapina a due anni (pena sospesa). Oggi vuole però rientrare in servizio: la mattina del 10 maggio si è tenuta la prima udienza davanti al giudice civile contro il provvedimento del ministero dell’Istruzione. Che, nel frattempo, l’ha allontanata dal servizio.
Cosa dirà ora il giudice? Considererà l’episodio un “incidente” di percorso? Oppure sarà costretto a dire no al suo ritorno in classe, visto che un docente, un educatore, un dipendente dello Stato, che si macchia di un comportamento così grave non merita una prova di appello?