Come spesso accade anche oggi il politico di turno ha deciso di darci un piccolo assaggio di “cultura pedagogica”.
La sottosegretaria Paola Frassinetti – riportano le cronache – ci ricorda che “tramandare il sapere è un privilegio nonché il compito principale dei nostri docenti”.
Ora, che trasmettere conoscenze e saperi sia una funzione dell’insegnamento è probabile, ma definirlo il “compito principale” mi pare francamente azzardato ed eccessivo.
D’altronde se la scuola si limitasse a trasmettere il sapere esistente ci sarebbe ben poco spazio per la creazione e l’invenzione di nuovi saperi e nuove conoscenze.
Negli anni ’50-‘60 del secolo scorso, quando negli Stati Uniti d’America si diffusero le teorie comportamentiste di Skinner si creò persino l’illusione che si potessero progettare e costruire “macchine per insegnare” ma ben presto si capì che il modello skinneriano poteva servire, nella migliore delle ipotesi, per trasmettere conoscenze di primo livello ma non certamente per “insegnare” nel senso più pieno e completo del termine.
La metafora secondo cui “la mente non è un vaso da riempire ma una fiaccola da accendere” non è nuova anche se è stata utilizzata – con qualche “ritocco” – persino da Montessori e da Morin.
La sua prima versione risale però forse a Plutarco che la propose già poco meno di 2mila anni fa.
Poi nel ‘500 venne ripresa dal filosofo francese Montaigne e, da allora è diventata il leit-motiv del pensiero pedagogico moderno, tanto che, ormai, l’affermazione ha perso quasi del tutto i connotati “rivoluzionari” che poteva avere inizialmente.
Vogliamo dire, cioè, che ormai questo principio sta alla base di tutta la riflessione pedagogica contemporanea.
Peraltro “insegnare” vuol dire appunto “lasciare un segno” e non semplicemente “consegnare” qualcosa: nel suo rapporto con l’allievo, il docente non si limita a trasmettere ma interviene in qualche misura sulla mente dell’alunno, anzi sull’alunno nella sua interezza che esce cambiato e modificato dal rapporto.
E su come avvenga questo “segnatura” esistono ovviamente teorie diverse che fanno riferimento alle neuroscienze, alla sociologia, alla psicologia sociale e a quella dell’apprendimento.
In altre parole ricercatori e studiosi si interrogano ancora oggi su come avvenga l’apprendimento e su come l’insegnante possa facilitarlo, ma nessuno, oggi, si sognerebbe di mettere in dubbio il principio ormai assodato che tale processo ha ben poco a che fare con un semplice “travaso” di conoscenze e comportamenti sociali.
Ed è per questi motivi che ci colpiscono molto le parole del politico di turno che si mette a parlare di pedagogia e di teorie educative sapendo poco o nulla dell’argomento.
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