In un teatro dove la sacralità dell’arte della musica è il suo punto di forza, il Vincenzo Bellini di Catania, Paolo Crepet si è lasciato trasportare in un monologo di un’ora e mezza davanti a una sala, palchetti compresi, gremita di un pubblico attento e desideroso soprattutto di capire, dalle sue parole, il momento storico che la nostra civiltà sta attraversando.
Psichiatra e scrittore, l’occasione dello spettacolo “Mordere il Cielo” è data pure dalla presentazione del suo ultimo libro che è appunto una sorta di ricerca per scoprire il mondo di questo millennio, con una evidente critica alle convenzioni e alle nuove tecnologie, coi social che stanno cambiamento costumanze, formatesi nel corso di millenni di storia. Si guardi alle “app” dei telefonini che, sibila dal palco dove è seduto accanto a un lume, restituiscono tutto a tutto, rispondono e inoltrandosi perfino nei meandri dove prima bisogna cercare a fondo e dove si creava una umanità più puntigliosa, più attenta, più riflessiva, rivolta “all’Umano troppo Umano”. E che da un po’ sembra sfaldarsi sul marchingegno ormai indispensabile.
E infatti il suo primo riferimento è ai femminicidi e alle violenze, mentre si mischia l’amore col possesso, in sintonia con quei lucchetti, lui dice, che chiudono tanti luoghi topici d’Italia. E da qui pure la non ancora smaltita sbornia contro i diversi, gli omosessuali, quando ancora le tendenze sessuali diventano motivo di accanimenti e contrasti e perfino di revisionismo culturale.
Dimenticata, lui dice, la disciplina, non quella imposta ma quella interiore che consente all’artista di esplodere e di creare mondi e universi, mentre lancia l’invito ai giovani a intraprendere un lavoro che piace, perché è l’unica forma che l’uomo ha per creare, essere se stessi, insomma, e citando in qualche modo Nietzsche e il suo amore per i fragili e i visionari, come lui si sente e crede di essere, secondo quanto la sua prof delle medie gli pronosticò.
Tuttavia, l’affondo più importante, in un monologo che per molte fasi è andato avanti sulle associazioni di idee piuttosto che su un filo tessuto apposta, è stato contro le tante famiglie che non lasciano più libertà ai figli di essere appunto “adolescenti”, di vivere la loro età secondo il loro sviluppo biologico; ma volendoli subito grandi, adulti, pronti per l’estetista e per le apparizioni pubbliche.
Ma anche impedendo loro spesso di conoscere il mondo coi loro occhi, approntando loro tutto e subito davanti, senza indurli insomma alla ricerca e alla sperimentazione, alla esperienza diretta che la crescita armonica impone.
Discorso complesso, talvolta con picchi sul banale e il già noto e conosciuto e dibattuto, ma con certi spunti interessanti, come il richiamo della memoria storica e alla accoglienza degli stranieri, dei tanti popoli che hanno contribuito a rendere grande e unica l’Italia per la sua arte e la sua cultura.
Ma pure il suo puntare il dito contro la mediocrità, che l’intelligenza artificiale tende ad acutizzare, sfruttandone le mancanze e la pigrizia dell’uomo, cosicché magari gli artisti e i grandi sognatori, i magnifici interpreti dell’animo umano, i monumenti della letteratura, potranno venire soppiantati da un robot che non crea problemi, non mette nulla in discussione, in dubbio, in uno scambio acritico in cui la dialettica prende vie inedite, perdendosi fra nebulose astratte.
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