Occorre deporre le armi e ridurre le spese militari in favore dei bisogni umanitari. Un concetto, questo, espresso dal Pontefice in occasione della ‘Giornata mondiale dell’aiuto umanitario’.
“Un messaggio semplice e chiaro”, come evidenzia il sito ladiscussione.com/ quello lanciato ieri dal Papa, legato ovviamente alle guerre in corso. Semplice e chiaro per chi vuole ascoltare le parole di Francesco anche quando sono scomode per molti e non si “schierano” a favore di una fazione o di un’altra (e quindi non sono strumentalizzabili, come a volte sembra nelle interpretazioni, queste sì parziali e faziose, di certo mainstream informativo, tant’è che questo intervento del Pontefice non mi sembra abbia avuto grande spazio nelle pagine on line dei quotidiani più rappresentativi del mainstream nostrano).
“È nostra responsabilità aiutare a estirpare dai cuori l’odio e la violenza”, le parole del Pontefice, che ha aggiunto: “Incoraggiamo a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita”.
Un appello sull’importanza di una cultura a favore del sostegno ai più bisognosi e a deporre le armi, senza distinzione tra i vari conflitti che devastano il mondo né fra i Paesi che tali strumenti di distruzione e di morte producono e forniscono per fare business, magari in certi casi proprio per alimentare i conflitti.
Come leggiamo in un articolo di ieri di fanpage.it, che riportava appunto anche l’appello di Papa Bergoglio, “nel 2022 la spesa militare mondiale complessiva ha raggiunto la cifra record di 2.240 miliardi di dollari, un numero in crescita rispetto agli anni precedenti: ben 127 miliardi in più solo rispetto al 2021. Sono i dati dell’ultimo rapporto di Stockholm International Peace Research Institute (Sipri)”.
L’articolo proseguiva facendo notare: “Basti pensare che alla Cop27, la conferenza sul clima avvenuta in Egitto a novembre 2022, si era discusso molto dell’istituzione di un fondo loss and damage, per sostenere i Paesi più poveri che risentono maggiormente degli effetti distruttivi del cambiamento climatico: 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare il Sud del mondo di fronte a inondazioni e alluvioni, temperature estreme, siccità. Una cifra che si fatica a stanziare e che sarebbe però addirittura inferiore a quei 127 miliardi che invece si sono spesi in più in Difesa e armi.
La disparità di investimenti sull’industria militare e sugli aiuti umanitari, insomma, è ancora ampia. È così anche in Italia. L’anno scorso, secondo i numeri diffusi dall’Osservatorio Milex, la spesa militare da parte del ministero della Difesa toccava i 26 miliardi l’anno. Gli stanziamenti in aiuto umanitario e allo sviluppo hanno invece raggiunto un minimo nel 2020, scendendo a 3,67 miliardi di euro”.
Sul tema delle spese militari, a svantaggio di adeguati finanziamenti a scuola, ambiente, sanità (e al welfare in generale) nonché al sostegno agli aiuti umanitari, questa testata è intervenuta più volte.
In particolare in questo articolo voglio ricordarne un pezzo di Alvaro Belardinelli che con lucidità e un pizzico di ironia finale approfondisce, anche attraverso interessanti link esterni, questo tema (l’articolo è di tre anni fa ma appare sempre attualissimo come analisi sulle spese militari in Italia), nonché un altro di Pasquale Almirante che fa riferimento alle lobby delle armi e ricorda come il Parlamento diede il via libera all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil (“a tutto danno della crisi economica, che falcidia gli stipendi e le pensioni, ma pure si scarica nei confronti della scuola, welfare, sistema sanitario, formazione”, evidenzia l’amico e collega Pasquale nel suo articolo) a meno di un mese di distanza dallo scoppio della guerra in Ucraina (o meglio dall’invasione russa, perché la guerra nel Donbass, regione con popolazione a maggioranza russofona, è iniziata già nel 2014 e si è acuita nonostante gli accordi contenuti nel “protocollo di Minsk”, accordi non attuati: ma in quegli anni il fatto che le popolazioni del Donbass, compresi ovviamente i bambini, subissero le conseguenze della guerra sembrava interessare a pochi, un po’ come la guerra quasi decennale nello Yemen o altri conflitti nel mondo, di cui anche il settore dell’informazione si occupa pochissimo).
Ma ritorniamo sulla Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario (World Humanitarian Day), iniziativa promossa dalle Nazioni Unite, che nel dicembre del 2008 ha istituito la “giornata” con lo scopo di commemorare ogni anno il tragico attentato del 19 agosto 2003 all’Hotel Canal di Baghdad. In quell’occasione persero la vita 22 persone impegnate nel fornire aiuto alle popolazioni irachene, dilaniate dai conflitti armati che erano in corso (anche come conseguenza della seconda Guerra del Golfo, un conflitto iniziato il 20 marzo 2003 con i bombardamenti angloamericani su Baghdad, ma già predisposto durante il mese precedente, quando il segretario di Stato degli Usa “si presentò – come riportato su una pagina web del marzo scorso di rainews.it – al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite agitando una fialetta di polvere bianca (antrace) come prova della capacità irachena di dotarsi di armi di distruzione di massa. Una prova che si sarebbe rivelata falsa”. L’Onu si dichiarò contraria all’intervento militare e invece propose di verificare attraverso ulteriori ispezioni. “Ma il dado ormai era tratto – si legge ancora nella pagina di rainews che ricorda il ventennale dell’inizio di quella guerra – nonostante le manifestazioni pacifiste e l’incrinatura del fronte occidentale schierato contro il terrorismo internazionale, (…) con Francia e Germania contrarie all’intervento”. Sempre su rainews.it si legge anche: “In totale, la guerra ha causato oltre 100.000 morti tra i civili, oltre a decine di migliaia di morti tra i militari”).
Nella terribile esplosione dell’attentato del 19 agosto 2019 perse la vita pure l’alto ufficiale Sérgio Vieira de Mello, che rappresentava gli sforzi delle Nazioni Unite in una terra vulnerabile come l’Iraq. La deflagrazione dell’ordigno inoltre ferì gravemente circa 140 persone.
“Da quel momento i leader internazionali, grazie anche alla sensibilizzazione promossa dal World Humanitarian Day, sono chiamati a migliorare la qualità della vita degli operatori umanitari, persone che svolgono un lavoro prezioso in realtà fortemente compromesse da conflitti armati e disastri naturali. Si ricorda che il personale umanitario si reca presso le realtà più delicate nel mondo per portare cibo, acqua, protezione, assistenza sanitaria e istruzione ai bambini e alle popolazioni in grave difficoltà”, come sottolineato in una pagina del sito www.largomento.com.
È un’occasione, quindi, per celebrare gli operatori umanitari in servizio in tutto il mondo ma anche coloro che hanno perso la vita aiutando le persone più povere, emarginate e vulnerabili.
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