Rendere “
più stringente” la parificazione scolastica: in linea con quanto
preannunciato nei giorni scorsi, è questa la promessa in tema di istruzione fatta dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Benedetto XVI durante l’udienza che il Papa ha concesso al premier italiano.
Sui contenuti del colloquio del 6 giugno – che ha toccato molti versanti, è durato quaranta minuti a cui è seguito un altro colloquio privato di tre quarti d’ora con il Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone – è trapelato poco: si tratta di dialoghi tradizionalmente riservati. Tuttavia il Santo Padre non hanno mai nascosto quelli che lui ritiene i “valori non negoziabili”: per la Chiesa la vita, la famiglia e l’educazione costituiscono infatti la vera verifica di ogni nuovo Governo.
A dire il vero nemmeno nel comunicato finale della Santa Sede si parla di questi concetti, ma genericamente del fatto ”nel corso dei cordiali colloqui sono stati affrontati temi che riguardano la situazione italiana e il contributo della chiesa cattolica alla vita del paese e sui quali il Santo Padre si e’ di recente soffermato nel suo discorso all’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale italiana“.Praticamente scontato però che il Papa durante l’incontro privato con il premier italiano abbia fatto richiamo sulla necessità di sostenere la scuola cattolica, di politiche pro-famiglia, e di un’azione che porti il paese fuori dalla “crisi”. E Berlusconi, dal canto su, ha assicurato ogni sforzo, compatibilmente con le risorse economiche del Paese, di cercare di anticipare al prossimo Dpef l’introduzione del quoziente familiare e di rendere appunto “più stringente” la parificazione scolastica.
Data per scontata la volontà dell’attuale esecutivo politico di voler dare un reale sostegno statale alle scuole cattoliche, il rebus ora si sposta sulle sue modalità realizzative. Tra le più praticabili, anche per non incorrere nel vizio di illegittimità rispetto al comma 3 dell’articolo 33 della Costituzione ( “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”) dei finanziamenti diretti, si parla con una certa insistenza di adottare il sistema dei “buoni scuola” da assegnare alle famiglie. Queste, autonomamente, dopo aver fatto le loro valutazioni “girerebbero” il buono agli istituti al momento dell’iscrizione. Gli emolumenti (di cui non beneficerebbero solo le paritarie, ma anche le scuole statali) non verrebbero accreditati nemmeno direttamente dallo Stato italiano, ma delle singole regioni sulla base di parametri meritocratici (i voti ottenuti dall’alunno-studente) e del reale fabbisogno familiare.
Questa l’ipotesi al momento più plausibile. Per voltare pagine in questa direzione, o comunque una simile, occorrono ora però certezze dal Ministero dell’Economia: ancora una volta il destino della scuola italiana si incrocia con i conti dello Stato. Che tutti sappiamo essere tutt’altro che floridi. Anzi. L’impressione è che il Presidente del Consiglio dovrà impegnarsi non poco se vorrà rispettare la promessa fatta a Benedetto XVI.