Per definizione, la scuola pubblica garantisce una formazione completa. I costi per organizzarla sono però non indifferenti, tanto da costringere gli uffici scolastici a fare i salti mortali per rientrare nei budget imposti dall’amministrazione centrale. Con l’amministrazione e i governi impegnati in continue operazioni tese al risparmio. Come quelle di alzare il più possibile il numero di alunni per classe, chiudere gli istituti con le iscrizioni finite sotto la soglia minima, “ingessare” gli organici, sostegno compreso.
Da tempo gli amministratori della scuola si chiedono come fare per organizzare un sistema scolastico il più possibile efficiente e formativo. E meno soffocato dalle esigenze di rientrare nel bilancio.
Tra le possibili alternative allo stato attuale, c’è l’adozione del costo standard, la quale prevede una “quota capitaria” spettante all’alunno e alle famiglie, le quali deciderebbero autonomamente a quale scuola, da loro ritenuta migliore, va destinata.
Il sistema sembrava interessare anche al Miur: lo scorso 20 dicembre i suoi sostenitori hanno convinto l’allora ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ad avallare la costituzione di un gruppo di lavoro composto da 14 membri e di una segreteria tecnica di altri tre esperti.
Solo che gli incontri si sono fermati lì: da quasi un anno, il gruppo di lavoro non è stato più convocato.
Nel team nazionale del costo standard c’è suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche e coautrice dei saggi “La buona scuola pubblica per tutti statale e paritaria” e “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento”: è tra i più fervidi sostenitori di questo modello alternativo di finanziamento delle scuole italiane. L’abbiamo intervistata.
Suor Anna Monia Alfieri, sul costo standard l’impressione è che il ministro Bussetti abbia deciso di imprimere una frenata: il vostro “tavolo” può attendere. È così?
Il ministro, da dirigente dell’Ufficio scolastico, è sempre stato favorevole al costo standard, proprio perché è un grande esperto di scuola. Lo sono gli stessi dirigenti del Miur: quelli che non cambiano con i governi e che conoscono a fondo i gangli malati del sistema scolastico italiano. È ovvio che la sua posizione è delicata: se non vuole abbandonare il campo, deve mediare, “aiutato” dal pressing dei problemi storici della scuola che sembrano estranei al discorso del costo standard, ma in realtà solo da quest’ultimo possono essere risolti.
Eppure, il problema esiste: qualche giorno fa Il Corriere della Sera ha quantificato in quasi mille euro al mese la spesa di uno studente liceale. I vostri alunni, invece, costano molto meno. Come fa una paritaria a tenere le spese così basse?
Partiamo dal cuore della faccenda: la paritaria seria ha un progetto educativo, ha una mission, che ‘piace profondamente’ a chi ci lavora e a chi la frequenta come studente o come genitore. La scuola pubblica paritaria è ‘cosa che sta a cuore’ a tutti quelli che la vivono da di dentro, a partire dai docenti che ne hanno cura ai massimi livelli della propria professionalità. In queste scuole è fortissimo il lavoro di squadra, che considera ugualmente partecipe del successo educativo chi pulisce i bagni e chi svolge il ruolo di legale rappresentante. Ognuno agisce al meglio in sinergia con tutti.
Ed è questa sinergia che caratterizza le paritarie a tenere bassi i costi?
Certamente. Nella paritaria seria non esiste chi tira a campare per lo stipendio. Se il ragazzino scrive sul banco, viene richiamato e pulisce; il docente della paritaria seria non fa politica in classe: vada altrove a farla, perché la scuola seria non indottrina le coscienze, con nessun colore. La paritaria seria ha i conti a posto, con un rigore che non penalizza la qualità, ma evita lo spreco stupido e superficiale.
I detrattori del costo standard dicono che le scuole non statali sfruttano il personale laico, in cambio di stipendi più bassi di quelli previsti dai contratti di categoria. E sfruttano il lavoro gratuito dei religiosi che le gestiscono. Sono solo cattiverie?
La galera per questi reati deve essere comminata, oltre che a chi li ha fatti, a chi non ha controllata. Anzi, a quei dirigenti statali che hanno sfruttato tali scuole per arricchirsi, chiedendo agli ispettori di addolcire le relazioni. Le scuole paritarie serie non hanno alcun interesse che questi “delinquenti” prosperino.
E quelle non serie?
In realtà il fenomeno è limitato allo 0,4% delle paritarie, ma è chiaro che una sola sarebbe troppo. I detrattori provengono da aree molto colpite da questo e da altri gravissimi fenomeni criminali. Evidentemente non hanno idea della realtà di una scuola pubblica paritaria seria. Se i detrattori saranno in grado di radere al suolo e spargere il sale su quello 0,4%, riceveranno una targa premio dalle paritarie serie. E comunque sono invitati a visitare una paritaria seria scelta tra il 99,60% delle esistenti
Però le garanzie che dà la scuola pubblica in chiave formativa sono decisamente maggiori. Non crede?
Per scuola pubblica si deve intendere sia quella statale sia quella paritaria: entrambe offrono assolutamente garanzie formative maggiori di una scuola non pubblica, semplicemente orientata al recupero anni.
A livello di primo ciclo, soprattutto di scuola dell’infanzia, le paritarie permettono allo Stato di risparmiare tantissimo: poiché il Governo ha intenzione di portare il tempo pieno al Sud, non si potrebbe pensare di allargare questa opportunità da Roma in giù?
È ovvio che un governo intelligente pensi a questo, ma deve dare alle pubbliche paritarie (serie) l’opportunità di vivere e ai genitori la possibilità di scegliere, secondo la legge 62/2000 e, ben prima, secondo la Costituzione italiana e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (Art.26). Ciò è possibile unicamente attraverso il costo standard di sostenibilità. Altrimenti sono chiacchiere. Le pubbliche paritarie chiuderanno e il sistema nazionale di istruzione collasserà a danno dei poveri che hanno votato chi li condanna all’ignoranza.
Ha avuto modo di parlarne col ministro dell’Istruzione?
Il ministro conosce alla perfezione l’argomento; è un uomo intelligente e proprio per questo evita accuratamente di parlarne in pubblico. L’imbarazzo sarebbe nocivo al contratto di governo che non parla di costo standard. L’istruzione pubblica morirà, perché la sua cura non era prevista nel contratto di governo.
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