Durante il mese di luglio siamo stati bombardati da articoli di giornale che gridavano allo scandalo per la forte discrepanza, riscontrata nelle scuole del Sud Italia, tra gli esiti degli Esami di Stato e quelli delle prove Invalsi, che quest’anno, per la prima volta, sono state svolte dagli studenti del quinto anno.
“Un Sud da 100 e lode, ma la valutazione è in contrasto con le prove Invalsi”… “La fotografia della preparazione degli studenti non coincide tra le due prove”…. “Tante le lodi date nel Meridione, più severità al Nord: nelle prove Invalsi la valutazione è completamente ribaltata”. Questi alcuni dei titoli apparsi per settimane. E si parlava di “ribaltamento sospetto”.
Dal Corriere della sera a Ilsole24ore, passando per le più svariate testate online, veniva sottolineato che la tendenza emersa dai dati resi noti dal Miur strideva con quella dei test Invalsi. E giù a domandarsi come mai dagli Esami di Stato venisse fuori un quadro opposto a quello fornito dai risultati delle prove standardizzate.
Come è possibile che nel Sud Italia fioccano le lodi, quando più della metà degli studenti non è in grado di comprendere un testo di argomento astratto? Voti gonfiati? Risultati fuorvianti e non in linea con la reale preparazione dei ragazzi? E il “mistero” del Sud diventa il tormentone dell’estate!
L’equazione è facile: i test standardizzati non sono soggetti al giudizio personale dei docenti, dunque sono più affidabili; i risultati delle prove Invalsi contraddicono quelli della maturità; i ragazzi del Sud hanno accumulato, rispetto ai loro colleghi del Nord, un ritardo enorme nella preparazione.
La spiegazione più plausibile, data dai giornalisti in maniera più o meno esplicita, è che l’istruzione al Sud è pessima, che gli studenti non sono pronti per l’università, che i docenti non hanno voglia di lavorare e che quindi, con ogni probabilità, i voti della maturità riflettono semplicemente la generosità degli insegnanti.
Bene, mistero risolto, tutti contenti.
A parte il fatto che mi piacerebbe si parlasse ogni tanto sui giornali dei problemi della scuola, quelli veri, quelli che ci vedono in prima linea ad affrontare, a volte, situazioni che vanno ben al di là delle nostre competenze. A parte il fatto che nessuno ci chiama in causa quando si tratta di proporre riforme che ci interessano in prima persona, visto che la scuola è l’ambiente nel quale operiamo, sempre e comunque, con grande senso di responsabilità. A parte il fatto che ci troviamo a dovere gestire “novità” che ci vengono calate dall’alto senza che ci si preoccupi di fornire adeguate ed esaurienti comunicazioni in merito. A parte tutto questo, e tanto altro che sarebbe inutile ripetere a chi comunque non ascolta, mi chiedo se sia giusto continuare a subire in silenzio attacchi che ledono la nostra dignità professionale e quella dei nostri studenti.
Io insegno al Sud, sì, proprio in quel Sud Italia in cui i voti alti degli Esami di Stato cozzano con i dati Invalsi, proprio in quel Sud fanalino di coda per competenze in italiano, matematica e inglese, proprio in quel Sud in cui regaliamo voti, secondo la fotografia che ci è stata fornita dall’Invalsi prima dagli organi di stampa poi. E oltre a insegnare mi occupo di Autovalutazione di Istituto ed ero responsabile, nell’anno scolastico appena passato, proprio delle prove Invalsi.
Ebbene, ho da poco analizzato i dati e presentato al Collegio dei docenti sia gli esiti degli Esami di Stato sia i risultati delle prove Invalsi sostenute dai ragazzi delle quinte. Miracolosamente, nella nostra scuola, confrontando i dati, ci siamo accorti che la situazione è, sì, ribaltata, ma in senso assolutamente opposto a quello riportato dagli organi di stampa a luglio. È vero, abbiamo avuto una percentuale di 100 e lode del 4,18%, ma gli studenti che hanno avuto il massimo in tutte le prove Invalsi sono il 12,03%, e più del 30% ha avuto il punteggio immediatamente inferiore al massimo, quindi comunque nella fascia alta, laddove solo il 25% ha avuto un voto agli esami da 91 a 100. Sempre una media alta, per carità, ma inferiore a quella registrata nelle prove Invalsi. Potrei continuare con le percentuali, il risultato sarebbe sempre lo stesso.
A questo punto mi piacerebbe conoscere i dati dei singoli istituti del Sud Italia. Delle due l’una: o io insegno in una scuola che non fa testo, perché rappresenta l’unica eccellenza del Sud (allora proporrei al nuovo Ministro di considerarla come cavia per eventuali esperimenti sull’istruzione), o qualcosa non va nelle statistiche che ci hanno propinato per un’intera estate.
Lascio ogni possibile interpretazione a chi ha voglia di lambiccarsi il cervello, ma chiedo, anzi pretendo, rispetto per il nostro lavoro, per la nostra dignità di docenti che, in qualsiasi condizione, al Sud come al Nord, portiamo avanti, con coscienza, senso di responsabilità e spirito di sacrificio, una missione civile, non sempre facile, ma indispensabile per la crescita del nostro Paese.
Maricarmen Tranchina