Accade spesso che giovani laureati – in attesa di essere chiamati per qualche supplenza- svolgano piccole attività, spesso con contratti di collaborazione e con conseguente obbligo di partita iva.
In caso di assunzione da parte delle scuole (magari per una breve supplenza), qualora volessero continuare a svolgere tali attività, dovranno far ricorso all’istituto del part time.
Il CCNL di comparto, all’art.25, ultimo comma del CCNL, stabilisce che l’assunzione [a tempo determinato e a tempo indeterminato] può avvenire con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale.
Tale regola peraltro è ribadita dall’art. 39, comma 1, che prevede la costituzione di “rapporti di lavoro a tempo parziale, sia all’atto dell’assunzione, sia mediante trasformazione di rapporti a tempo pieno, su richiesta degli interessati, nei limiti massimi del 25% della dotazione organica complessiva di personale a tempo a tempo pieno di ciascuna classe di concorso.
Nella prassi, il personale di ruolo chiederà la trasformazione del contratto a tempo pieno in contratto a tempo parziale (in genere la domanda va presentata nei mesi successivi al periodo natalizio), mentre i neo assunti (in ruolo o con contratto a tempo determinato) potranno chiedere sin dall’inizio la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo parziale.
Fatti salvi i casi di conflitto di interessi, in linea di principio non dovrebbero sussistere ragioni ostative alla possibilità – per i dipendenti in regime di part time- di svolgere altre attività.
L’equivoco nasce dal fatto che l’art. 508 del D. LGS n. 297/1994 – afferma che “Il personale di cui al presente titolo non può esercitare attività commerciale, industriale e professionale, né può assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”.
In assenza di una norma di coordinamento con la disciplina del part time, molte scuole, nel dubbio, frappongono ostacoli nell’assegnare supplenze al personale titolare di partita iva.
La legge n. 662/1996, all’art.1, comma 58, ha stabilito che “La trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale puo’ essere concessa dall’amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l’eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere”.
“L’amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l’attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente”.
Appare evidente, dunque, che la trasformazione del contratto da tempo pieno a part time non solo non preclude, ma comporta espressamente la possibilità di svolgere un’altra attività, sia essa subordinata o autonoma (dunque con partita iva).
Il Tribunale di Torino, con sentenza del 28 gennaio 2021, ha dato ragione ad un docente precario che si era visto rifiutare l’assegnazione di una supplenza (si trattava di uno spezzone di appena 6 ore), perché già impiegato presso una ditta privata.
Il Giudice del lavoro ha affermato che non sussiste incompatibilità assoluta fra lo svolgimento di attività lavorativa subordinata ed assunzione di pubblico impiego in regime di part time non superiore al 50%, accogliendo così il ricorso del docente e condannando l’Amministrazione al pagamento delle retribuzioni non corrisposte e al riconoscimento del punteggio.
Anche la Corte di Cassazione ha recentemente avuto modo di pronunciarsi sull’argomento.
Con sentenza n. 22497 del 18 luglio 2022, la Corte ha dato ragione ad un dipendente comunale che si era visto licenziare dal Comune perché – in regime di part time- aveva un rapporto di lavoro anche con un altro Comune (si precisa che i dipendenti degli enti locali a tempo parziale possono lavorare anche presso altri enti, ai sensi dell’art. 92 del d.lgs. n. 267 del 2000).
Il Comune rilevava però che tale possibilità era subordinata al rilascio di una specifica autorizzazione, che nel caso in specie non era stata concessa, anche perché mai richiesta dal dipendente.
La Corte ha invece ritenuto che– trattandosi di dipendente con contratto a tempo parziale- non vi fosse alcuna necessità di ottenere l’autorizzazione dall’Amministrazione di appartenenza.
Secondo la Corte, nel caso in specie, le norme sull’incompatibilità nel pubblico impiego (art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001) non si applicano nei confronti dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno.
Pertanto, in questi casi, non solo non sussiste alcuna incompatibilità, ma non è neppure necessaria una preventiva autorizzazione.
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