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Partecipare è il cuore della democrazia

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La partecipazione, tema in evidenza nel nostro trimestrale “Scuola e Formazione web” uscito pochi giorni fa, è sicuramente uno dei problemi più spinosi per chi, agendo come noi nel sociale, la considera un pilastro fondamentale della democrazia, che di partecipazione si nutre, o dovrebbe nutrirsi.
Ci si interroga infatti sempre più spesso sulle cause e sui possibili rimedi a fronte di un calo della partecipazione alla vita politica di cui sono segno evidente e oggettivo le percentuali di affluenza alle urne, da tempo in progressiva diminuzione. Un fenomeno che preoccupa per le dimensioni raggiunte e per il fatto che la disaffezione al voto sembra crescere in maniera costante, con tendenza ad accelerare più che a rallentare.
Sono diverse le cause che fanno degli astensionisti la maggioranza (in certi casi assoluta) del corpo elettorale: tra queste, c’è sicuramente lo scarso appeal di una politica percepita come inconcludente, inadeguata rispetto a problemi che rimangono irrisolti, quale che sia la maggioranza uscita dalle urne.
A ciò contribuiscono, per la verità, anche le modalità che il confronto politico è andato progressivamente assumendo ormai da molto tempo. Non credo di essere lontana dal vero se colloco l’avvio di questa “mutazione” del dibattito politico agli anni nei quali il crollo dell’Unione Sovietica ha tolto ragione e senso alla discriminante su cui, dal dopoguerra, si polarizzavano le scelte degli elettori, pur nell’ambito di una rappresentanza molto articolata, favorita dal sistema elettorale proporzionale. Un’articolazione che tuttavia aveva sullo sfondo una scelta di sistema, di appartenenza o meno all’occidente, una semplice logica binaria da cui scaturiva comunque una forte motivazione a far pesare il proprio voto.
Venuta meno questa motivazione, ha preso campo via via quella che chiamerei una deriva “pubblicitaria” del dibattito politico: centrato sempre più sulla semplificazione, per non dire sulla banalizzazione, dei problemi e della loro complessità. Un dibattito dominato da promesse e denunce, a seconda dei ruoli interpretati. Promesse quasi sempre difficili da mantenere, anche per il peso di fattori esterni difficilmente governabili in un contesto di globalizzazione e di accentuata interdipendenza economica: denunce condotte facendo leva su criticità e disagi, pronte a trasformarsi in altrettante promesse anch’esse destinate a rimanere in gran parte disattese.
La stessa esperienza dei governi tecnici, sostenuti da maggioranze molto ampie in frangenti di straordinaria emergenza, può prestarsi a due letture ben diverse. La prima la interpreta come segno della capacità delle forze politiche di far fronte comune, in nome di un interesse generale da sostenere responsabilmente insieme; la seconda, come ammissione implicita delle proprie insufficienze e dei propri limiti da parte di quelle stesse forze politiche. Lascio a chi mi legge la risposta.
A me pare piuttosto evidente che la deriva “pubblicitaria” della politica, cui accennavo poco fa, abbia posto le premesse per il diffondersi di un “populismo” fatto di esasperazione dei contrasti, di demagogia, di chiusura al dialogo, di strumentalizzazione dei problemi, più che di impegno nella ricerca delle soluzioni.
Un populismo che pervade buona parte della politica e che non vorrei producesse un effetto contagioso anche in campo sindacale, dove finora i richiami in tal senso sono rimasti appannaggio di qualche soggetto a vocazione irrimediabilmente minoritaria.
Non ho modo di farlo in queste note, ma sarebbe interessante capire se e quanto sia paragonabile all’astensionismo elettorale l’adesione ad alcuni scioperi proclamati negli ultimi anni, che di generale avevano soltanto il nome e che definire scarsamente partecipati può essere un eufemismo. Lo dico senza alcun compiacimento. Al contrario: con la preoccupazione che azioni così condotte finiscano per indurre nei confronti del sindacato la stessa percezione di inutilità riservata alla politica. Della quale dobbiamo stare molto attenti, piuttosto, a non ripetere gli errori.
Con le elezioni per il rinnovo delle RSU abbiamo l’occasione di dare, come già in passato, un bel segnale in controtendenza, dimostrando che la partecipazione ha un senso e che rende possibile a tutti esprimersi con esiti concreti e costruttivi.
Anche il nostro meccanismo elettorale, ne ho fatto cenno su queste pagine qualche mese fa, merita forse, per certi aspetti, di essere rivisitato, snellito, aggiornato. Ricondotto più chiaramente alla finalità che lavoratrici e lavoratori possono sentire più rispondente al proprio bisogno principale, quello di essere rappresentati nel modo migliore possibile là dove si assumono decisioni che incidono su aspetti importanti del loro rapporto di lavoro.
Io sono molto fiduciosa per l’appuntamento che ci attende a metà aprile. Fiduciosa su una larga partecipazione al voto, fiduciosa in un’affermazione delle nostre liste, per la cui presentazione hanno lavorato intensamente nelle scorse settimane tutte le strutture territoriali della CISL Scuola.
Un grazie particolare va, naturalmente, alle migliaia e migliaia di persone che si sono candidate: persone che sono certa condividano il nostro modo di essere e fare sindacato, ancorato a forti valori di riferimento e condotto con senso di concretezza, rivolto alla risoluzione dei problemi e non alla loro semplice declamazione.
Siamo pronti a sostenerle nell’impegno che hanno assunto, assicurando loro informazione, formazione, ogni supporto di cui può avere necessità chi si fa carico di rappresentare la propria categoria portandone a fattore comune interessi, bisogni, attese.
Da qui al voto faremo il possibile, insieme alle nostre strutture territoriali, perché possano riscuotere il consenso più ampio possibile. Meritano gratitudine per la disponibilità a rappresentare la nostra organizzazione. Ma per quanto ho cercato di evidenziare in queste mie riflessioni, hanno un merito ancora più grande: quello di testimoniare in prima persona il valore (e il coraggio) della partecipazione, contrastando nei fatti la deriva astensionista che sembra erodere la nostra convivenza civile, mentre si profilano oltretutto all’orizzonte scenari dominati da pericolose oligarchie.

Ivana Barbacci su Agenda CISL Scuola – mese di aprile 2025

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