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Pas: percorsi abilitanti surreali

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I Pas sono ormai cominciati quasi in tutta l’Italia, con ritmi di lavoro a dir poco folli. A causa del ritardo con cui sono partiti, infatti, le Università hanno concentrato lezioni di molte ore in pochi giorni e questo diventa assai difficile da gestire se si considera che, mentre si frequentano i corsi stessi, si deve lavorare e studiare.
Fermiamoci a pensare… In tutte le università l’avvio Pas era previsto per inizio dicembre, ma la “lentezza” del Miur ha congelato il tutto.
E vogliamo parlare del Trentino, dove l’università era pronta per settembre? Ci siamo chiesti il perché di tale rallentamento, passato sotto silenzio. E quando si chiedevano spiegazioni per i ritardi, la risposta era sempre evasiva e rimandava a “ordini superiori” mai svelati.
Il ritardo di partenza, quindi, accompagnato da lungaggini imputabili soltanto all’incapacità del Miur di organizzare, coordinare, disporre e gestire la vicenda dei Pas è stato gestito a macchia di leopardo.
Le conseguenze sono diventate surreali, e in particolar modo le differenti modalità con cui i Pas stessi sono gestiti dalle università. In alcuni contesti, i docenti frequentanti dichiarano che basterà imparare “due cosine” a memoria per sostenere gli esami, in altri, invece, sarebbero chiamati a studiare una mole infinita di libri in tempi ormai ristretti, un carico di lavoro eccessivamente didascalico e nozionistico, materiale inservibile da un punto di vista didattico, perché totalmente distante dai programmi scolastici.
Non si è ben capito se i Pas servono a formare insegnanti competenti o ad apprendere tecniche di copiatura. Quanto alle contraddizioni, poi, sono inenarrabili: alcuni docenti della formazione, pur sostenendo che non bisogna mai offrire ai nostri alunni mappe concettuali preconfezionate, ma costruirle insieme, obbligano a studiare decine di queste mappe “dettate” a lezione. E in tutto questo teatro dell’assurdo, che ruolo svolge il Miur?
I Pas, non sono forse il frutto di una parziale ammissione rispetto ad una gestione scriteriata del reclutamento dei docenti e la conseguente possibile condanna derivante dai contenziosi proliferati in questi ultimi anni (ricordiamo le dichiarazioni in proposito di Lucrezia Stellacci, ex Capo Dipartimento istruzione)?
In questo marasma generale, ognuno si arrangia come può. La frequenza ai Pas assomiglia più ad una lotteria, una situazione surreale in cui ci sono esami farsa, esami scritti comparsi all’improvviso e test d’ingresso. È ora di denunciare tale mancanza di logica tipica della tradizione italiana. Ricordiamo che i Pas sono rivolti a docenti che hanno svolto almeno tre anni di servizio, che in un’altra nazione europea sarebbero già abilitati. E’ giusto che in Italia, vengano trattati come studentelli alle prime armi? Il decreto istitutivo non aveva forse evidenziato che già gli anni di servizio erano sufficienti a dimostrare il valore di tali insegnanti? Se le università non sono in grado di discostarsi dal loro modello, distante anni luce dalla concretezza del mondo lavorativo e professionale, tale incapacità non può ricadere sul personale scolastico che li frequenta. Secondo noi, il cliché “prova scritta e orale” vuol dire che si vogliono solo testare le conoscenze, non preparare alla didattica, peraltro esercitata già a pieno titolo dai docenti di III fascia per anni. È stato accettato il compromesso illogico dei Pas, come un compromesso tra i principi e la convenienza, forse anche per mettere a tacere quanti sostenevano che i docenti di III fascia non sono formati, vogliono sanatorie e scorciatoie. Ma vogliamo essere trattati con serietà e come si conviene a professionisti, nonché lavoratori pubblici quali siamo. È il Miur che deve porre rimedio a queste disfunzioni: non abbandonando i corsisti, ma ripensando le graduatorie che hanno dato vita agli scaglionamenti e che stanno alimentando nuove disparità e iniquità, e soprattutto chiarire che fine faranno gli scaglionamenti negli anni futuri, anche rispetto all’imminente aggiornamento delle graduatorie.
Chiediamo allora al ministro Giannini che si faccia carico anche di questa urgente problematica che sta investendo migliaia di docenti e che, non dimentichiamolo, sta anche notevolmente alimentando le casse delle università. Non è ammissibile una gestione del genere, per un percorso al quale ci siamo dovuti sottoporre evitando al Miur probabili sanzioni europee.