I cento anni della nascita di Pier Paolo Pasolini (1922- 1975) vengono ricordati da numerose pubblicazioni, eventi, mostre e pure spettacoli, considerato anche il suo vasto raggio di interesse nella cultura italiana, a cominciare dalla poesia e dalla saggistica e proseguendo con l’attività giornalistica e di cineasta.
Di raccontare un Pasoli per certi versi inedito, si fa carico il libro di Maria Laura Chiaretti, “Pier Paolo Pasolini. Il coraggio di essere se stessi”, Armando Editore, 12 Euro.
Il testo infatti, oltre a ripercorrere passo passo la vita artistica e umana del grande scrittore, congenite sul suo messaggio pedagogico e ideale, è rivolto non solo a chi con gli studenti ha a che fare, agli educatori dunque, ma anche al più vasto pubblico che oggi, per causa di una politica balbettante e spaurita, ha davanti migrazioni di popoli diversi e portatori di diversità che spauriscono.
Riprende in altre parole Maria Laura Chiaretti la paideia pasoliniana, che non è la pedagogia come mezzo per un traguardo formativo, ma il fine stesso dell’educazione, l’ideale di maturità culturale e civile cui l’uomo deve tendere. “Nell’uomo c’è molto, facciamo molto dell’uomo” diceva Bert Brecht, da cui anche Pasolini prende le mosse nella comune convinzione che l’arte deve servire a emancipare chi il potere vuole tenere sottoposto, la classe operaia cioè, gli sfruttati, i contadini e dunque anche i diversi, coloro che la società tende a disconoscere e ignorare; e di cui forse ha pure paura.
Da qui le riflessioni dell’autrice agli scritti “Corsasi” di pasoliniani relativi a una diversa impostazione della didattica e pure al riconoscimento di una diversità che già Kafka ci aveva mostrato nella Metamorfosi. Non paura del diverso o avversione, ma accettazione della unicità di ciascuno. E dunque possibilità di educare e ri-educare rispettando “il paesaggio emotivo di ognuno, vivendo il valore dell’alterità come costola propria della natura umana”.
Prefato da Dacia Maraini, l’autrice si sofferma sulla valorizzazione di tutte le identità, per stabilire una relazione dialogica e conciliante, partendo dal coraggio di essere se stessi. E pure dal coraggio di “partecipare e cooperare attivamente interessandoci a tutto, anche a ciò che all’apparenza sembra non coinvolgerci direttamente, identificandoci con chi in un determinato momento storico vive una condizione di vulnerabilità ed emarginazione emotiva, economica e/o sociale”.
“In una società spesso destinata a umiliare chi si trova in condizioni di marginalità e vulnerabilità”, il ruolo dell’intellettuale e dunque del maestro e di chi fa cultura dovrebbe essere quello di “accompagnare a riflettere e liberare idealmente coloro che ancora oggi fanno resistenza nel riconoscere la totalità dell’esistenza umana”.
Non a caso Pasolini ha fatto della sua vita l’esempio per chi resta, servendosi delle varie arti per caricare di un forte messaggio pedagogico volto alla “presa di coscienza del proprio ruolo storico e all’emancipazione del sentimento di cittadinanza autenticamente democratica e inclusiva”.
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