In linea con la più inveterata delle tradizioni politiche italiane, anche quest’anno una legge di fondamentale importanza per l’istruzione è spuntata in piena estate, mentre gli italiani, più distratti del solito, cercavano refrigerio dal bollore sahariano in spiaggia o in montagna. È la riforma degli istituti tecnici e professionali, approvata dalla Camera il 31 luglio scorso (Legge 8 agosto 2024, n. 121) e passata pressoché inosservata sotto gli occhi degli italiani — talmente assopiti da non accorgersene nemmeno — nella quasi totale assenza di dibattito pubblico sui media maggiori.
Tuttavia, al risveglio dalla fornace estiva, vorremmo invitare il lettore a porsi alcune domande.
L’istituto tecnico: da Scuola a “filiera”
I toni del ministro Valditara nell’annunziare la riforma sono stati come sempre trionfali: «Con la nuova filiera tecnico-professionale costruiamo un canale di istruzione di serie A, in grado di dare una solida formazione ai nostri ragazzi, secondo programmi fortemente innovativi, che assicureranno competenze teoriche e pratiche di qualità, anche grazie al contributo delle imprese».
“Filiera”: la chiamano proprio così. D’altronde il termine, uno dei preferiti dagli ideologi del neoliberismo imperante, va per la maggiore anche quando si parla di Scuola: quasi i diplomati fossero null’altro se non il prodotto finale di attività economiche volte a trasformare, realizzare e distribuire merci. Prodotto finale standardizzato, perfetto, perfettamente inseribile e sostituibile a piacimento, come le macchine costruite da meccatronici robot?
Le parole sono pietre, usate non casualmente, ma per il loro peso e la loro forma.
Primo: non spendere per l’istruzione
Il tutto, al solito, dovrà comunque avviarsi «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», come già previsto dall’articolo 1, comma 9 del ddl 924 del 18/9/2023 (che ora, appunto, è legge, visto che nessun emendamento dell’opposizione è stato approvato dalla maggioranza). Gli “oneri” miliardari sono sostenibili solo per ponti su stretti marittimi (ad altissimo rischio sismico) o per guerre? La Scuola deve solo produrre, senza costare una lira più del (poco) previsto? Anche questa non è certo una novità.
Dopo decenni di tentativi, diventa obsoleto l’odiato quinto anno
La struttura tecnica per promuovere la “filiera formativa tecnologico-professionale” è definita nell’art. 2. L’art. 1, al comma 1, descrive invece la “filiera” stessa, costituita da percorsi quadriennali sperimentali del secondo ciclo di istruzione (tradotto: eliminazione del quinto anno, così a 18 anni i pargoli potranno già lavorare). Per chi volesse studiare ancora, i quattro anni saranno seguiti dagli istituti tecnologici superiori (ITS Academy) biennali.
Esisteranno inoltre percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) e percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), cui possono aderire le Regioni. Un altro grande passo verso la regionalizzazione e la frammentazione del percorso nazionale dell’istruzione pubblica? Con quali esiti sul valore legale del titolo di studio?
Crolli pure la Scuola, purché sia “innovativa” e “sperimentale”
Il comma 2 dell’art. 1 prevede la possibilità di partecipare alla “filiera” solo per gli istituti secondari di secondo grado che avessero attivato percorsi quadriennali “innovativi” e “sperimentali”, distribuendo le 1.056 ore del quinto anno nei quattro anni (divisi in due bienni) che lo precedono. Con quali effetti sulla già ridotta attitudine degli adolescenti alla concentrazione, allo studio teorico, all’esecuzione di attività casalinghe? Con quale ricaduta sull’effettivo svolgimento dei programmi, già difficilmente completabili in un quinquennio grazie a progetti, PCTO, educazione civica, orientamento e via ballando?
Siamo poi certi che “innovativo” significhi migliore didatticamente ed educativamente? Siamo sicuri sia giusto “sperimentare” (sugli studenti) pratiche derivate non da studi pedagogici approvati universalmente dalla comunità scientifica, ma semplicemente graditi al complesso militare-industriale nostrano e internazionale (giacché l’Italia è al settimo posto nel mondo e al quarto in Europa — e tra i primi esportatori — fra i produttori di sistemi d’arma complessi)?
Scuola regionalizzata, privatizzata de facto e senza quinto anno
Il comma 3 consente alle Regioni di accordarsi con USR, ITS Academy, Università, istituti AFAM e altri soggetti (anche privati) per integrare e ampliare l’“offerta formativa” dei “percorsi sperimentali quadriennali” secondo le esigenze dei territori. A tutta birra verso la privatizzazione e la scuola regionalizzata?
La destrutturazione del sistema nazionale di istruzione si avvale anche delle reti chiamate “Campus”, istituite nell’ambito di tali accordi, cui possono partecipare tutti i soggetti di cui sopra. Lo studente che abbia conseguito il diploma professionale del IV anno di IeFP (alternativi alla vecchia scuola superiore quinquennale, che quindi più nessuno studente sceglierà) potrà avere accesso diretto all’ITS Academy senza esame di Stato, a patto che il suo percorso formativo abbia aderito ad una filiera formativa tecnologico-professionale o sia stato validato dall’INVALSI. Non ci sarà, pertanto, alcun bisogno di abolire il quinto anno, perché non lo frequenterà più nessuno. Ci si accontenterà di esser stati “addestrati” come la Legge prevede (art.1, comma 6, lettera e).
Chi voleva veramente tutto ciò?
Tutto sta avvenendo con la massima fretta. Perché? Erano queste le riforme più urgenti per la Scuola italiana? Non l’edilizia scolastica fatiscente e pericolosa? Non l’eccessivo numero di alunni per classe? Non il disagio dei docenti, crescente in modo direttamente proporzionale ai carichi di lavoro burocratico, al discredito sociale e al decrescere del potere d’acquisto? Chi sono i committenti veri, che tutti i governi fanno a gara nell’accontentare?