Attualità

Patto educativo di comunità: ci vuole capacità di visione e coraggio

Le scuole tutte, in questo finale di anno scolastico, continuano ad essere prese dalle conseguenze della pandemia, con tensioni e responsabilità facilmente comprensibili. Il pensiero sta andando soprattutto alla ripartenza di settembre, più che agli atti conclusivi di quest’anno, compresi i possibili progetti estivi.

La vera speranza è che con le vaccinazioni questa ripartenza offra dei punti fermi, anche se la diffidenza verso gli stessi vaccini, da parte di una parte del personale ma anche tra i giovani, crea più di qualche apprensione. Col passare delle settimane, col chiarimento sugli effetti dei vaccini, dovrebbe rasserenare un po’ tutti.

C’è però un tema che, in questo contesto, rischia di passare quasi sotto silenzio, mentre potrebbe diventare la chiave di volta per ricostruire una speranza di futuro che offra una risposta di qualità alle sfide formative odierne.

I Patti educativi di Comunità

Sto parlando di Patti Educativi di Comunità, previsti dal “Piano scuola 2020-2021”. Sempre il Nord Europa ci suggerisce il passo successivo, oltre la rigidissima situazione italiana, cioè il Campus. In un Campus le scuole diventano parte di un tutto, non sono cioè più un piccolo tutto.

Parte di un tutto. E la visione del tutto porta a cogliere gli aspetti centrali, cioè i fondamentali del sistema, per coordinarli. Penso qui al ripensamento degli edifici scolastici, agli spazi in comune.

Penso qui anche agli indirizzi di studio, all’orientamento in entrata ed in uscita, alle passerelle, cioè ai passaggi tra indirizzi, per favorire negli studenti un pensiero positivo sui propri talenti, sulle attitudini, propensioni, preparazione di base.

Per l’orientamento, penso qui alle forme di raccordo, soprattutto per gli istituti tecnici, i professionali e centri di formazione, con le associazioni di categoria, per accompagnare gli studenti alla scelta attraverso stage mirati, in modo che gli studenti stessi riconoscano il meglio per ciascuno in ragione delle possibilità reali.

Qui si innesta la novità degli ITS, sempre più presenti ma ancora poco conosciuti: perchè non immaginare stage orientativi costruiti dagli stessi ITS ai fini del biennio post-diploma?

I Pcto

Purtroppo, col governo Conte1 l’Alternanza scuola-lavoro è stata svilita, ridimensionata. Oggi si parla di PCTO, cioè Percorsi per le Competenza Trasversali e l’Orientamento.

Ma sono parole fumose, perché, lo sappiamo, tutto è e può diventare competenza trasversale, mentre il vincolo del lavoro, non inteso come professione, ma come prevede l’art. 1 della nostra Costituzione, è la domanda di messa in campo, nella vita reale, delle attitudini, dei sogni, delle conoscenze, delle sensibilità maturate via via negli anni.

Il lavoro, quindi, come uno straordinario slancio verso quella apertura al mondo reale che non è più scontato nei giovani di oggi rispetto ai loro padri. Il Campus, cioè luogo pensato e ripensato per la formazione in toto dei giovani e degli adulti.

Le opportunità poi, come sempre, se si vuole si trovano, zona per zona. Nel Vicentino, ad esempio, solo una scuola ha aderito a questo Patto. Nessuna di scuola superiore. Questi Patti educativi di comunità, lo ricordo, prevede accordi stipulati tra le scuole e altri soggetti pubblici e privati per definire gli aspetti realizzativi di progetti didattici e pedagogici legati anche a specificità e a opportunità territoriali.

Con questi Patti, in poche parole, si vuole dare alle comunità locali la possibilità di un nuovo protagonismo per rafforzare non solo l’alleanza scuola-famiglia, ma anche quella tra la scuola e la società civile.

Pensiamo, in primo luogo, alle nuove povertà educative, alla dispersione scolastica (16% in Veneto). Il Piano Scuola 2020/21 ha individuato nell’ente locale il soggetto cui spetta il compito di promuovere e coordinare i lavori tra le parti, tramite apposite conferenze dei servizi.

A questo punto, la domanda è d’obbligo: questi Patti Educativi sono solo un’occasione, o sono il preludio di un salto qualitativo nel mondo anzitutto della scuola, ma di corresponsabilità reale anche degli enti locali e della società civile? Sapendo della centralità della formazione, oggi più di ieri.

La riforma degli organi collegiali

Questo passo ulteriore, qualitativamente ulteriore, si può realizzare solo con la riforma degli organi collegiali delle scuole, oggi dipendenti, per le decisioni fondamentali, dal consenso della assemblea dei docenti (Collegio dei Docenti), per la parte didattica, e del Consiglio di Istituto, organo di sistema, ma nel quale non ritroviamo alcun rappresentante delle istituzioni locali e della società civile.

E’ problematico cioè, visto il contesto, un vero raccordo, ai fini della valorizzazione delle scuole come interfaccia di un territorio.

Questo raccordo va costruito, pensato, mediato anzitutto tra scuole e poi tra scuole ed enti locali, quindi con la società civile, in primis le associazioni di categoria, gli ordini professionali, le organizzazioni sociali.

Cosa è possibile realizzare, stante la situazione generale, nella quale le scuole da un lato dipendono in toto dal Ministero e dalle sue articolazioni periferiche, e dall’altro da una autonomia vissuta in molti casi in termini autoreferenti?

Perché infine non buttare il cuore oltre l’ostacolo? Chiamare “licei” tutti gli indirizzi delle scuole superiori, come da una vecchia proposta, per chiarire e limitare l’onda liceale attuale che non è giustificabile; portare la maturità a 18 anni, ed offrire a tutti i diplomati, immediatamente, il percorso ITS e quello universitario, con percorsi di orientamento vero, con l’utilizzo dei docenti, formati, delle scuole superiori.

La dispersione da un lato e l’abbandono universitario, dall’altro, assieme all’analisi realistica sulla “occupabilità dei titoli di studio”, dovrebbero essere per tutti una vera priorità. Sapendo poi che, forse, affidare alle sole famiglie la scelta di scuola superiore oggi è sempre più non una opportunità ma, tante volte, un intralcio alle attitudini e alla preparazione di base dei propri figli, tanto da non prendere in considerazione, per più del 50%, i consigli orientativi delle scuole medie.

Per un PTOF di territorio

Le scuole in una Regione, in una Provincia, sono suddivise per Ambiti, i quali afferiscono ad un determinato comprensorio.

In questi Ambiti in buona parte del Paese sono presenti delle Reti delle scuole appartenenti, con un raccordo su informazioni, progetti comuni, alcune iniziative, quasi tutte autofinanziate.

Le scuole, comunque, essendo autonome, non sono vincolate le une alle altre. Quindi siamo ad un livello volontaristico, non sistemico. Quindi, la situazione varia da regione a regione, da scuola a scuola. E’ cioè complicato immaginare e costruire forme di condivisione.

Pensiamo agli spazi, per via della crescita o diminuzione delle iscrizioni, per progetti vari, per ipotesi di interazione inediti col territorio.

Il calo della natalità, quindi degli iscritti, sta liberando edifici, per cui il loro utilizzo razionale, al di là delle inevitabili spinte campanilistiche, può aprire inedite opportunità. Penso qui alla formazione permanente, alle associazioni di categoria, agli enti locali, alle organizzazioni no-profit.

Non solo formazione permanente, ma anche a supporto alla innovazione su progetti speciali, alla disponibilità di spazi per la popolazione. Sarebbe bello immaginare le scuole, cioè, sempre aperte, ovviamente con le garanzie del caso. Presupposto-base per questo cambio di marcia è il PTOF territoriale, pensato e costruito dalle scuole con le energie del territorio.

Ora si tratta di pensarlo e scriverlo non solo in funzione di una singola scuola, ma di una Rete di scuole e del suo territorio. E’ comprensibile il cambio di prospettiva.

Perchè è l’Offerta Formativa delle scuole che dovrà essere coordinata, in modo da renderla efficace e trasparente, con opportunità di collaborazione oltre i confini delle scuole stesse.

Per realizzarla, al di là dei dati normativi da cambiare, ci vuole capacità di visione, ci vuole coraggio di cogliere il meglio in tutti, senza più quelle forme di competitività tra scuole, per i numeri delle iscrizioni, che sono a volte sono imbarazzanti.

Perchè conta il bene degli studenti, non il numero degli indirizzi, delle cattedre per i docenti, o altro. Tutto un lavoro quindi da fare.

La logica del Campus

Sempre il Nord Europa ci suggerisce il passo successivo, oltre la rigidissima situazione italiana, cioè il Campus.

In un Campus le scuole diventano parte di un tutto, non sono cioè più un piccolo tutto. Parte di un tutto. E la visione del tutto porta a cogliere gli aspetti centrali, cioè i fondamentali del sistema, per coordinarli. Penso qui al ripensamento degli edifici scolastici, agli spazi in comune.

Penso qui anche agli indirizzi di studio, all’orientamento in entrata ed in uscita, alle passerelle, cioè ai passaggi tra indirizzi, per favorire negli studenti un pensiero positivo sui propri talenti, sulle attitudini, propensioni, preparazione di base.

Per l’orientamento, penso qui alle forme di raccordo, soprattutto per gli istituti tecnici, i professionali e centri di formazione, con le associazioni di categoria, per accompagnare gli studenti alla scelta attraverso stage mirati, in modo che gli studenti stessi riconoscano il meglio per ciascuno in ragione delle possibilità reali.

Qui si innesta la novità degli ITS, sempre più presenti ma ancora poco conosciuti: perchè non immaginare stage orientativi costruiti dagli stessi ITS ai fini del biennio post-diploma?

Purtroppo, col governo Conte1 l’Alternanza scuola-lavoro è stata svilita, ridimensionata. Oggi si parla di PCTO, cioè Percorsi per le Competenza Trasversali e l’Orientamento.

Ma sono parole fumose, perché, lo sappiamo, tutto è e può diventare competenza trasversale, mentre il vincolo del lavoro, non inteso come professione, ma come prevede l’art. 1 della nostra Costituzione, è la domanda di messa in campo, nella vita reale, delle attitudini, dei sogni, delle conoscenze, delle sensibilità maturate via via negli anni.

Il lavoro, quindi, come uno straordinario slancio verso quella apertura al mondo reale che non è più scontato nei giovani di oggi rispetto ai loro padri.

Il Campus, cioè luogo pensato e ripensato per la formazione in toto dei giovani e degli adulti. Le opportunità poi, come sempre, se si vuole si trovano, zona per zona.

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Gianni Zen

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