A Firenze si è discusso, nel corso del convegno “Ancora oggi dopo mezzo secolo… La riforma im/possibile dei decreti delegati del 1974”, organizzato dalla sezione Toscana di Anp (Associazione nazionale presidi), del disagio dei giovani ma anche del malessere dei professori, sempre più frustrati e arresi, sottolineando quasi che il mondo della scuola oggidì soffra, trovandosi a un bivio, tra passato e sfide del futuro.
Dall’Anp si dice che sarebbe giunta l’ora, considerato il sempre più difficile coinvolgimento di genitori, docenti e studenti nell’organizzazione della vita della scuola, di “ripristinare un nuovo patto educativo tra docenti e genitori, al cui interno i giovani possano ricostruire la loro fiducia nelle istituzioni scolastiche”.
Oltre alla ormai nota demotivazione dei docenti, i ragazzi da parte loro “inseguono altri valori, che non possono appartenere al mondo della scuola”, come specifica lo psicoterapeuta: “I ragazzi di oggi inseguono i valori narcisistici che respirano anche in famiglia: vogliono diventare belli, ricchi e famosi. E certo la scuola non può aiutarli in questa loro ‘ricerca’. Per questo i giovani non vedono più nell’istruzione un ruolo di guida”.
Poi c’è tutta l’altra sponda relativa alla violenza nelle scuole e alle aggressioni che insegnanti, ma anche i dirigenti talvolta, subiscono da parte dei genitori e dei loro alunni.
E allora una via di uscita? A parte la vecchia proposta di tenere aperte le scuole il pomeriggio, c’è anche quella di stipulare una sorta di nuovo patto “rivoluzionario” fra famiglie e insegnanti, come suggerisce Valditara:
“Bisogna fermare questa cultura della aggressività e della violenza. Senza l’affermazione forte del principio di responsabilità, del rispetto delle regole e della autorità rischiamo di scivolare verso la disgregazione della nostra società civile. Dobbiamo approvare rapidamente il disegno di legge sulla condotta: chi sbaglia deve essere sanzionato, essere messo di fronte alle proprie responsabilità. Basta giustificare e tollerare bulli e violenti. Poi occorre un grande patto tra le famiglie e la scuola, per una rivoluzione culturalein cui i genitori siano solidali con i docenti, e mai antagonisti, sapendo anche dire dei no ai propri figli. Questo per il bene dei giovani e della collettività”.
Se tuttavia la proposta del ministro è del tutto condivisibile, il problema è capire come stabilire questo patto, in base a quale rappresentazione visibile e formale. Un patto si stabilisce fra più due o più parti, ma su un documento, una promessa, un impegno reciproco.
E se la scuola può mantenere quel patto, come lo mantengono i genitori dei 7milioni e mezzo di studenti di tutta Italia, su quale base e su quale impegno?
Fai firmare un foglio all’atto della iscrizione? Una impegnativa? Un giuramento? Oppure una nuova formulazione dei decreti delegati nei quali però, oltre a promuovere la larga partecipazione democratica delle famiglie nella gestione della scuola, cosa si può di diverso e rivoluzionario inserire?
In altre parole: non capiamo come e su quali principi e su quale fronte di uovo dialogo si possa stabilire un patto “per una rivoluzione culturale in cui i genitori siano solidali con i docenti, e mai antagonisti, sapendo anche dire dei no ai propri figli”.
Ed essendo la proposta di Valditara estremamente interessante, sarebbe pure il caso che il ministro la illustrasse alla prima occasione, in termini chiari, anche perché quando si parla di “rivoluzione culturale” occorre usare termini precisi e obiettivi mirati e raggiungibili, altrimenti che rivoluzione è?