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Pedagogie protestanti: un saggio alla scoperta dei valori educativi e didattici frutto del protestantesimo – INTERVISTA

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Bruna Peyrot, storica e saggista, presidente della Fondazione Centro Culturale Valdese di Torre Pellice, ex dirigente scolastica in Piemonte, racconta in un’intervista per La Tecnica della Scuola la genesi del suo ultimo saggio “Pedagogie protestanti”, alla luce del passato, con uno sguardo critico e costruttivo al presente e al futuro, dando a docenti presenti e futuri una visione della pedagogia e dell’insegnamento in un quadro diacronico ricco di spunti di riflessione. L’opera appena uscita è divisa in tre parti e ripercorre il pensiero filosofico e pedagogico protestante, con chiarezza e forse per la prima volta con una visione d’insieme che colloca il protestantesimo in un quadro che restituisce ai docenti il giusto valore educativo e sociale.

Perché parlare di pedagogia protestante?

Negli anni, direi nei decenni, ho raccolto numerosi spunti e idee nelle letture, nei percorsi di studi che ho affrontato e ho potuto rilevare costantemente quanto il pensiero protestante sia profondamente e direttamente legato alla filosofia e alla pedagogia. Al centro c’è la persona insieme all’idea di cosa debba essere quella persona, l’individuo. Dal 1600 ai giorni nostri, da Locke a Pestalozzi, da Rousseau a Dewey. E non va dimenticato che lo stesso Martin Lutero ha anticipato alcuni aspetti della pedagogia moderna, puntando sull’alfabetizzazione: Lutero considerava l’istruzione come un diritto/dovere universale, per cui la scuola doveva essere obbligatoria, gratuita e aperta a tutti, anche alle donne. In molti casi la scrittura protestante diventa un atto di denuncia, uno strumento che è fondamentale e passa dall’istruzione.

Nel ‘700 la pedagogia ha proposto non solo nel mondo protestante ma a livello universale programmi educativi partendo da idee e concetti elaborati dai singoli filosofi, poi con la prima rivoluzione industriale, nel XIX secolo, il pensiero protestante si fa portare di una visione più ampia, sociale che promuoverà la scolarizzazione.

Nelle Valli Valdesi in particolare (Valli a Sud Ovest di Torino, al confine con la Francia, ai piedi delle Alpi Cozie, ndr) sorsero a partire dalla fine del XVII secolo, grazie al sostegno economico dell’Europa protestante, numerose scuole, per maschi e femmine, ma solo per i valdesi, ai cattolici infatti si proibiva di mandare i propri figli, pena una multa.

Nel volume parla di “Pedagogia istituente”, di cosa si tratta?

Significa partire da una visione filosofica e pedagogica che, coerentemente con il protestantesimo, punta a valorizzare il ruolo dei docenti. Per esempio, le maestre valdesi avevano un confronto continuo con la realtà locale, incontravano e vivevano in prima persona i cambiamenti sociali e culturali. Da decenni oggi in Italia i docenti sono in prima linea per l’accoglienza degli stranieri. Ecco la pedagogia istituente è l’agire didattico e educativo che è spesso all’avanguardia, che fa propria la diversità culturale e sociale e ne diventa protagonista.

Cosa insegna oggi la pedagogia protestante, anzi le pedagogie protestanti ai docenti?

I protestanti nel tempo hanno imparato nel mondo ad essere consapevoli di un progetto globale in cui sono presenti, per dare valore alle identità, partendo dal passato. Si impara che ci si mescola, ci sono incontri e scontri, e ci sono connessioni. E a scuola si dovrebbe imparare metaforicamente a tessere, dando risposte adeguate alla società. Nel caso specifico dei protestanti, la storia ha insegnato loro che se la perdono di vista o la trascurano perdono sé stessi.