Con la seguente scrivo per rispondere alla lettera “Psicologo scuola? No grazie basta il pedagogista”.
Nella suddetta lettera si afferma che l’isolamento sociale non è un fenomeno psicologico bensì sociale e si continua affermando che lo psicologo tende a “patologicizzare”, mentre il pedagogista farebbe diversamente (senza peraltro mai dichiarare quali sarebbero le prassi da adottare).
La confusione nasce dal non volere accettare che il professionista che si occupa dello studio del comportamento umano e, quindi, dei processi cognitivi ed emotivi, si chiama psicologo.
Lo psicologo, grazie al colloquio clinico, agli strumenti standardizzati (test) questionari, ecc., è in grado di capire il “funzionamento” del soggetto anche in situazione di sofferenza.
Capire il funzionamento non significa etichettare. Comprendere quali siano le false credenze, i pensieri distorti, i meccanismi difensivi utilizzati in maniera disfunzionale e rigida, serve alla persona per capire sé stessa e fare chiarezza sul proprio modo di agire e funzionare nelle diverse situazioni di vita.
Il pedagogista o l’educatore tutto questo non può farlo perché il suo oggetto di studio non è capire il funzionamento dell’altro e, infatti, non può usare test, fare valutazioni funzionali, non può indagare sulla sfera motivazionale ed emotiva. Se lo fa, incorre nell’esercizio abusivo della professione.
Ricordiamo inoltre che, fino agli anni ’90, ci fu un ampio dibattito sulla pedagogia che portò gli studiosi (come Visalberghi) a decidere di passare da Pedagogia a Scienze dell’Educazione, proprio per testimoniare il fatto che, senza il contributo di discipline come psicologia e sociologia, la pedagogia sarebbe stata condannata a rimanere ingabbiata in una sorta di “precettisitica” di stampo morale che l’ha sempre caratterizzata (basta consultare testi importante come “Storia della pedagogia di Franco Cambi).
Ad oggi ben vengano gli educatori a scuola ma se rimangono fedeli a quello che è il loro indirizzo: sostenere gli alunni attraverso il lavoro didattico coordinato con i docenti, lavorare sull’autonomia, ecc.
Se poi l’intenzione è quella di aprire sportelli di ascolto cercando di intervenire sui processi cognitivi, emotivi, motivazionali o, in certe situazioni, impostando veri e propri setting riabilitativi o terapeutici (prendendo spunto e protocolli operativi dalla psicologia cognitivo-comportamentale o dalla psicologia umanistica), allora si è sbagliato mestiere.
Ricordiamo che non è mai troppo tardi per iscriversi a psicologia, sostenere gli esami ed iscriversi al relativo ordine professionale.
Ugo Nesi
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