Pensieri di una Italiana

Amo gli stranieri che vengono in Italia se questi rispettano le tradizioni italiane e le religioni degli altri e non portano con sé le mutilazioni dei genitali femminili, pratica tradizionale sostanzialmente africana, non necessariamente legata all’Islam. Vivo in un paese che ha posto come legge la libertà di culto, dopo che nel 313 con il suo editto Costantino la proclamò. Le origini del mio cognome, proveniente da mia madre, Moriniello, sono arabe e del mio cognome, proveniente da mio padre, Fasano, potrebbero essere anche ebree. Ma in me non c’è il conflitto arabo/israeliano. Rispetto l’alterità degli altri purché questa rispetti la mia. Credo che, se esiste un Dio, questi sia valido per tutti gli esseri umani, di ogni razza e colore. Purché nessuno voglia prevalere su altri.

La democrazia mi viene dai Greci e continuo a credere che sia valida oggi. Sulle pareti del mio studio ho cominciato una collezione di “Cristo in croce” in quanto “accolgo” metaforicamente, quella figura di Cristo di cui sono restate prive le pareti delle nostre aule scolastiche. Da un po’ mi sento in diritto/dovere di difendere “i miei credi”, fosse quello religioso come quelli civili e culturali. Siamo un paese che di fede in se stesso dovrebbe averne molta: figli della grande storia di Roma che assorbì la grande storia etrusca e greca, per dirne soltanto due. Figli dei cristiani che si fecero uccidere per non negare la propria fede. Qualcuno comincia a rendersene conto: in un mercatino rionale del Vomero, a esempio, alcuni giorni fa un gruppo convinto e non pagato di uomini e donne professava la necessità di restare “sulla retta via” e buoni cristiani. Non si trattava di Testimoni di Geova o Evangelisti in cerca di proseliti, ma proprio di persone “comuni” che ricordava in giro come fosse necessario seguire la “giusta via”. In un tempo dove da molte parti del mondo, figli cresciuti in seno a società democratiche si schierano con l’Islam o si inseriscono nei gruppi dell’Isis. Cosa cercano? Una fede perduta o mai avuta. Forse quella che il nostro Papa Francesco tenta di restituire con ogni parola detta, ogni sguardo, ogni gesto, ogni presenza. Mi guardo intorno e vedo e sento sulla pelle, serpeggiare tra la gente la paura, l’insicurezza,  e in qualche caso, un pizzico di codardia. Quella che ti fa girare la testa altrove “per non vedere”, parente lontana (per ora), di quella che fece vivere a testa bassa la propria esistenza ai tanti abitanti di territori tedeschi risiedenti a un tiro di schioppo dalle nuvole di “fumo umano e ceneri,” proveniente dalle torri dei campi di sterminio nazisti. Incertezza del futuro economico anche nelle code di persone ai bancomat, in fila, non perché le banche regalino denaro, ma in quanto ne serve di più e se ne guadagna di meno. Alcuni bancomat ricevono le “visite sgradite” di delinquenti grandi e piccoli, molti risultano troppo spesso “fuori servizio” per il prelievo, oppure, se guasti, non vengono velocemente fatti tornare utilizzabili. Serpeggia il pensiero che prendere “il proprio”, di denaro, non sia più una cosa tanto certa. Che da un momento all’altro si possa tornare al crisi del 29. Si comprende anche dagli sguardi con cui chi entra nell’abitacolo per il prelievo bancomat chiede a chi esce (che ha spesso l’aria confusa): “Funziona?” Non è più un dato assodato. 

Adam Smith scrisse “La ricchezza delle nazioni”. Noi ci chiediamo in mano a chi sia la ricchezza della nostra nazione. Quelli di noi che si mantengono “acculturati” sanno che, dal documento annuale stilato dal centro studi delCredit Suisse (un’azienda leader a livello mondiale nel campo dei servizi finanziari globali con sede a Zurigo), risulti come sia solamente lo 0,7% della popolazione mondiale sopra i 18 anni (parliamo di 32 milioni di persone) a possedere il 41% della ricchezza totale (90 trilioni di dollari), mentre il 68,7% della popolazione (3,2 miliardi di persone) detenga il 3%  di tale ricchezza per cui diviene povertà. Disuguaglianza globale aumentata rispetto alla stessa indagine del Credit Suisse del 2010.  Restando in Europa scopriamo che in Germania il 10% della popolazione detiene il 60% della ricchezza del paese, malgrado o per virtù dell’operato di Angela Merkel. In Italia è accertato che il 50% più povero possiede soltanto il 10% della ricchezza. Lasciando l’altro 50% al 10% della popolazione. I meno acculturati lo sanno lo stesso, quando appartengono a quel 50% “povero”, in quanto lo percepiscono “a pelle”. Insomma: contando o non contando le auto blu lasciate ai politici e ai funzionari dello Stato da Renzi, andate o meno all’asta o poste a disposizione delle forze dell’ordine (grazie ad un emendamento del movimento 5 stelle), il cittadino medio si sente povero e vede un divario eccessivo nelle persone che lo rappresentano al Governo dello Stato.

Ma neanche il concetto di mal comune mezzo gaudio sta bene. Ricordo che una mia collaboratrice domestica ce l’aveva a morte con le famiglie “bene” che le davano lavoro: le invidiava. Io le dicevo: signora, dovreste essere lieta che ci siano famiglie che stanno bene economicamente e possono permettersi di avervi con loro ore e ore al giorno per fare le cose che loro NON vogliono fare. Oggi molta gente non lavora in quanto chi dovrebbe dare loro lavoro non ha il denaro per pagarla. L’economista Keynes sosteneva che, pur di far lavorare gli operai disoccupati in tempo di crisi, sarebbe stato meglio mandarli a scavare buche per poi ricoprirle e pagare loro uno stipendio. Il Movimento 5 Stelle portava invece avanti  un disegno di legge che prevedeva un contributo di massimo600 euro, per chi avesse perso il lavoro o si trovasse sotto lasoglia di povertà. Dimenticando forse che daidati Istatpubblicati nel rapporto“Trattamenti pensionistici e beneficiari”, relativi al 2013, fosse emerso che il 41,3% dei pensionati percepisceun reddito inferiore ai 1.000 euro al mese (4 su 10). 

Non occorre guardarsi tanto intorno per trovare quei pensionati, talvolta basta guardarsi allo specchio. Anche chi fruga nella spazzatura NON trova più le cose che trovava dieci anni fa, in quanto c’è poco da gettare. In breve: ci sta bene che alcuni stiano benissimo economicamente, ma vorremmo stesse benino il resto della popolazione.

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