La parte economica del Ccnl 2019-2021 è stato firmata nel dicembre 2022 – dopo l’accordo siglato il precedente 11 novembre da Aran e organizzazioni sindacali della scuola “rappresentative”, cioè quelle ammesse alle trattative – ma soprattutto per i pensionati nel suddetto triennio (è di loro che ci occupiamo in questo articolo) non ha ancora prodotto alcun risultato, tranne l’accredito degli arretrarti solo per alcuni, come ha precisato Francesco Sciandrone, responsabile nazionale Pensioni e previdenza della Uil Scuola Rua, nella video intervista di Alessandro Giuliani, direttore de La Tecnica della Scuola.
Va subito sottolineato che della parte economica del suddetto contratto Scuola devono beneficiare anche coloro che sono andati in pensione durante quel triennio: non solo gli arretrati, naturalmente con riferimento al periodo in cui erano ancora in servizio, ma anche il ricalcolo dell’assegno pensionistico e del Tfs per quanto concerne la “liquidazione”.
Il compito degli aggiornamenti della progressione di carriera, anche a beneficio di coloro che sono andati in quiescenza durante il triennio di vacanza del nuovo contratto, è stato assegnato alle segreterie scolastiche, con l’Inps che ha fornito indicazioni e procedure, con il consenso degli Uffici scolastici territoriali (gli ex Provveditorati agli studi) e dello stesso Ministero dell’istruzione.
Da nostre fonti, se per il ricalcolo del Tfs (“buonuscita”) la situazione è a buon punto, caricando da parte delle segreterie scolastiche su “passweb” un “ultimo miglio” aggiornato con il nuovo contratto (sembra che alcune scuole abbiano già completato), invece per il ricalcolo pensionistico le segreterie lamentano di non essere state formate alla riqualificazione delle pensioni.
Insomma, gli Ambiti territoriali non se ne occupano direttamente, l’Inps attende i dati forniti dalle segreterie scolastiche – alle quali effettivamente è stato demandato questo compito, ma che come si sa sono spesso oberate di lavoro con varie incombenze che hanno invece tempistiche ben precise – e il Mim non dà alcuna istruzione (almeno fornendo una scadenza entro cui accreditare ai pensionati quanto spetta e che scaturisce da un accordo sul rinnovo contrattuale sottoscritto dallo stesso Ministero dell’istruzione).
E chi ci rimette? Ma ovvio, i pensionati che subiscono una duplice beffa: la prima non avere beneficiato del rinnovo contrattuale quando ancora erano in servizio (ormai triste consuetudine quella del rinvio, per anni, del rinnovo dei contratti già scaduti), la seconda beffa quella di non percepire quanto spetta loro di diritto una volta rinnovato in ritardo il contratto dopo che erano andati in quiescenza. D’altra parte, i pensionati sono la parte più debole, in quanto anche volendo… non possono scioperare!
Qualcuno forse aspetta il bis dell’esito dei pensionamenti relativi al triennio 2016-2018? Cioè per ora nessun adeguamento economico, che invece spetta anche a quei pensionati..
Le scuole se non messe in condizione di operare – e con una scadenza precisa, con riferimento al triennio su cui stanno lavorando, il 2019-2020-2021 – forse non faranno mai il ricalcolo: ecco la situazione di “stallo”. A questo punto come sbloccarla? Sciandrone consiglia di scrivere all’ultima scuola dove si è prestato servizio, indirizzando un modulo al dirigente, per sollecitare gli adeguamenti, il nuovo inquadramento. Il sindacalista della Uil Scuola sottolinea che quello che facevano gli ex provveditorati ora è stato demandato alle segreterie scolastiche, che lamentano di non essere state formate, aggiungendo che a loro volta le scuole dovrebbero chiedere eventuali dati agli Ambiti territoriali di appartenenza (almeno per esempio fornire dati di “riscatti” pregressi).
Però da troppo tempo, soprattutto nel comparto Scuola (e parlo in generale, non della Uil scuola in particolare, che anzi da qualche anno – soprattutto da quando Pino Turi aveva assunto la carica di segretario generale della Uil scuola, prima di “passare il testimone” circa un anno fa a Giuseppe D’Aprile, ma il riferimento non è soltanto al comparto Scuola – ha più volte contrastato le politiche neoliberiste e rispetto a Governi diversi – quindi senza speculazioni di tipo politico – ha assunto posizioni non propriamente “morbide”), sento sindacalisti che dicono frasi che somigliano a queste: ‘abbiamo chiesto ma non ci ascoltano’ oppure ‘è un diritto ma purtroppo viene ignorato’.
Chiedere senza ottenere risultati (in passato anche senza risposta), consigliare di scrivere personalmente “letterine” di sollecito (un lavoratore o un pensionato vorrebbero il sostegno del sindacato, soprattutto se si è iscritti a una organizzazione sindacale è quest’ultima che deve provvedere a scrivere, sollecitare, magari affiancando il proprio associato) non è sufficiente, altrimenti decade il ruolo del sindacato.
Questo degli arretrati dovuti, del ricalcolo di pensioni e “liquidazioni” è in effetti un problema difficilmente gestibile dalle OO.SS. in quanto tra i loro iscritti ci sono anche lavoratori del personale Ata, non soltanto insegnanti e pensionati della scuola, ed evidentemente non si vuole fare ricadere l’intero peso della questione sulle segreterie, in effetti spesso con personale numericamente inadeguato per le mansioni da svolgere. Allora, i sindacati dovrebbero però fare sentire la propria voce ai “vertici”, Ambiti territoriali degli Uffici scolastici regionali e anche lo stesso Ministero.
Secondo noi occorre (e le organizzazioni sindacali hanno il compito di farsene carico per tutelare lavoratori e pensionati coinvolti) fissare una tempistica certa, non tanto dai vari Ust (il che determinerebbe soluzioni al problema in modo differenziato da provincia a provincia) ma dallo stesso Ministero dell’istruzione (oppure dall’Inps, da cui però non dipendono direttamente le segreterie scolastiche) magari tramite apposita circolare, affidando poi agli Ambiti territoriali il compito di rapportarsi con le scuole.
Un’assunzione di responsabilità e la volontà di remare tutti nella direzione che porta alla risoluzione del problema, per evitare che anche per i pensionati nel triennio dal 2019 al 2021 finisca come per quelli del triennio 2016-2018, i quali non hanno avuto né arretrati né nuovo inquadramento, senza ricalcolo di liquidazione e della pensione. “Completamente dimenticati”, dice nell’intervista il responsabile nazionale Pensioni e previdenza della Uil Scuola, evidenziando che “le scuole a meno che non ricevano l’autorizzazione di un ente superiore non possono più provvedere a fare l’inquadramento”. Ma ovviamente anche per i pensionati dal 2016 al 2018 è necessario trovare un’adeguata soluzione.
Insomma ai sindacati si chiede maggiore incisività. Magari cercando di spingere per un ritorno alla ‘concertazione sociale’ con il governo di turno. Un metodo di gestione delle politiche del lavoro e delle relazioni sindacali, che si caratterizza nel confronto (effettivo) tra governo, organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e che dovrebbe produrre un loro consenso preventivo sulle decisioni politiche ed economiche da adottare.
Qualcuno pensa che negli anni ’70 – nel 1970 era stato introdotto lo Statuto dei lavoratori (legge 300 del 20 maggio 1970), che le politiche neoliberiste di questi decenni hanno cercato di smantellare – e negli anni ’80 prima della divisione sindacale, a causa del “congelamento” di alcuni punti della cosiddetta “scala mobile”, i segretari generali dei tre sindacali “confederali” avrebbero accettato frasi come quelle riportate prima? Si può immaginare, ad esempio, che Luciano Lama (in quegli anni segretario generale della Cgil) avrebbe allargato le braccia di fronte a frasi come ‘abbiamo chiesto ma non ci ascoltano’ oppure ‘è un diritto ma purtroppo viene ignorato’?
Se i lavoratori e i pensionati (categoria più fragile) non vengono tutelati nei loro diritti e non sentono la vicinanza delle organizzazioni sindacali, allora forse qualcuno potrebbe pensare che è arrivato il momento… di acquistare una scorta di “gilet gialli”, sul modello francese.
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