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Pensione alle donne e diktat europeo

Si contesta all’Italia la legge 214/ 2011, in base alle quali gli anni minimi di contribuzione per ottenere la pensione prima di arrivare all’età massima sono stati fissati in 41 e 3 mesi per le donne e 42 e 3 mesi per gli uomini. Questa norma italiana andrebbe contro l’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che stabilisce la parità di trattamento tra uomini e donne.
In risposta al diktat europeo, la Alessandra Mussolini, ha lanciato una controproposta: scontare un anno di lavoro alle donne per ogni figlio che hanno avuto. “Credo che debba essere fatta chiarezza, visto che ci vogliono fare andare in pensione dopo i 65 anni . (…) Noi mettiamo al mondo dei figli e dobbiamo assolutamente trarre vantaggio da questo. Perché ne trae vantaggio la società, visto che non si fanno più figli”. Una volta tanto non sono in disaccordo con la dinastia dei Mussolini.
Con la prossima legge di stabilità, “non vorremmo – dice C. Damiano – che il Governo, sulla base delle sollecitazioni che giungono dall’Europa, pensasse di innalzare anche l’età pensionabile delle donne per equiparala a quella degli uomini, magari destinando le risorse così risparmiate nuovamente al risanamento del debito”. La Fornero, madre di 2 figli e autrice della 214/21011, si dichiara pentita: “Non rifarei la riforma, ma non è stata solo colpa mia”. Ma “dum Romae consulitur:
• La pensione-donna aggiunge un altro gradino verso la soglia dei 66 anni. Nel 2014 infatti, si allontana il traguardo della pensione di vecchiaia per le donne. La riforma pensionistica ha dato un deciso colpo di acceleratore alla equiparazione con l’età degli uomini.
• Dal 1° gennaio 2012 (per le pensioni anticipate) , l’età delle donne è salita brutalmente da 60 a 62 anni, soglia alla quale già nel 2013 sono stati aggiunti 3 mesi (per via dell’adeguamento alle cosiddette speranze di vita).
• Dal 2014 il limite, per le lavoratrici dipendente, sarà ulteriormente elevato a 63 anni e 6 mesi dal 2014. Per le pensioni di anzianità, dal 2014 il requisito contributivo per le donne (rispetto agli uomini) è ridotto di un anno: 41 anni e 6 mesi.
• Solo fino al 31/12/2017, al fine di disincentivare il pensionamento anticipato rispetto a quello di vecchiaia, è stata introdotta una misura di riduzione economica. Qualora si vuole uscire prima dei 62 anni, l’assegno viene corrisposto, per la quota retributiva (per l’anzianità maturata sino al 2011), con una riduzione pari all’1% per ogni anno di anticipo; taglio che sale al 2%, per ogni anno di anticipo che supera i 2 anni, riferito ai 62 di età.
• In via eccezionale e sino al 31/12/2015, per le sole donne è prevista un’ancora di salvezza, a caro prezzo, come una beffa e una macina al collo. Se le lavoratrici dipendenti scelgono di andare in pensione con regole pre-Fornero – ossia a 57 anni di età con 35 di contributi, potranno continuare a farlo, scegliendo però un trattamento calcolato interamente con il criterio contributivo. Un sistema sicuramente meno vantaggioso del “retributivo”, riferito agli stipendi degli ultimi anni, con una perdita in termini di pensione stimata in circa il 25-30%.
• L’anno prossimo – considerando l’aumento dell’età di 3 mesi (speranza di vita) e la cervellotica interpretazione della legge da parte del ministero, secondo cui il termine del 31 dicembre 2015 contiene anche il periodo di attesa per l’apertura della finestra di 12 mesi le donne dipendenti, per ottenere la pensione contributiva, oltre ai 35 anni di contribuzione, devono compiere i 57 anni di età entro il 31 agosto 2014.
• Il nostro sistema previdenziale riconosce alle donne lavoratrici madri un anticipo rispetto all’età pensionabile per la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo pari a 4 mesi per ogni figlio e nel limite massimo di 12 mesi, sempre nel caso in cui si abbia diritto al trattamento pensionistico secondo il sistema contributivo, o qualora si eserciti la facoltà di opzione (L. n. 335/1995, art. 1, c. 23) o la facoltà di computo (art. 3 del DM n. 282/1996), se in gestione separata.
La situazione delle pensioni della scuola per il 2014 si potrebbe però sbloccare se arrivassero novità dalla Corte Costituzionale che, tra circa un mese, deciderà sulla legittimità dell’articolo 24 della legge Fornero, anche se lo stesso Parlamento potrebbe decidere di intervenire sull’argomento che interessa la stabilizzazione o il pensionamento dei lavoratori della scuola (leggasi Quota 96).

Giovanni Sicali

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