Sulle soglie sempre più alte per lasciare il lavoro, si sta davvero esagerando: siamo arrivati al punto che per andare in pensione qualche anno prima dei 67, cui presto saranno portati i lavoratori italiani, bisogna appartenere in una categoria di lavoratori che mediamente vive meno a lungo. Con i docenti che, per loro fortuna, non fanno parte di questa casistica.
A spiegare il perché di questo paradosso è stato Tito Boeri, presidente dell’Inps, durante un suo intervento tenuto il 10 novembre a Milano, durante un convegno sulle Pmi.
In generale, il presidente dell’istituto di previdenza ha detto che l’adeguamento automatico dell’età di pensione alla speranza di vita non può essere bloccato, altrimenti si andrebbe a pregiudicare ulteriormente l’occupazione. E a “tartassare” oltremodo chi lavora.
“Il punto è che in un sistema in cui le pensioni di oggi vengono pagate dagli attuali lavoratori, se non adeguiamo l’età pensionabile alla speranza di vita aumentiamo il carico fiscale e contributivo che pesa sui lavoratori e quindi distruggiamo l’occupazione“, ha esordito Boeri.
Come riferito dall’Ansa, subito dopo il presidente Inps ha argomentato il concetto parlando dei pensioni che possono contare su assegni consistenti: “Coloro che hanno delle pensioni alte sono persone con speranza di vita più lunga e quindi una redistribuzione da un pensionato ricco a quello più povero avrebbe un senso”.
Parlando della commissione per il calcolo delle differenze della speranza di vita in base al lavoro che si svolge, Boeri ha detto che “la commissione deve avere un ruolo: è importante che tutte le decisioni non vengano prese prima che la commissione venga creata. Troverei giusto che si decidesse adesso una quota di lavoratori che viene esentato dall’adeguamento e che venga poi affidata alla commissione il compito di identificare le categorie di lavoratori che hanno una speranza di vita più breve“.
“Una commissione di questo tipo – ha detto ancora Boeri – ha bisogno di avere accesso a un insieme di banche dati molto ricco, non solo quelle del l’Inps ma quelle del ministero del Lavoro e Inail e nessuno ne parla ma credo anche quelle del ministero della Salute”.
“Penso che sarebbe importante che il confronto pubblico si basasse sui dei risconti obiettivi come quelli che questo lavoro potrebbe mettere a disposizione. Poi ovviamente i politici decidono liberamente ma possono decidere su una base informativa molto più ricca se a questa commissione viene data la possibilità di lavorare”.
Le parole di Boeri non sono state accolte favorevolmente dai sindacati, già indispettiti, sia perché non ci sarebbe la volontà ad allargare le deroghe oltre le 15 professioni più “gravose” già indicate; sia perché il Governo non sembra volersi impegnare per confermare l’Ape social oltre il suo mandato, quindi dopo il 2018 .
Sarcastica è stata la leader della Cgil, Susanna Camusso. La quale dice: “Boeri, chi? Il presidente dell’Inps? Quello che aveva i dati per valutare le aspettative di vita in base ai diversi lavori? Li tiri fuori invece di parlare di cose che non gli competono”.
“Lunedì incontreremo il Presidente del Consiglio, Gentiloni e verificheremo anche la proposta del Governo in base alle questioni che in questi giorni in sede tecnica abbiamo affrontato”,
Più possibilista si è detta la segreteria generale della Cisl, Annamaria Furlan, a margine dell’inaugurazione della sala “Sandro Loschi” nella sede Cisl di Fiorenzuola d’Arda.
“Mi sembra di cogliere una volontà da parte del Governo di voler affrontare alcune questioni nodali che – ha detto – noi abbiamo posto: in particolare, come si calcola l’aspettativa di vita, per quali categorie dobbiamo assolutamente bloccarla, come creiamo una condizione di dignità per le pensioni dei giovani e come facciamo finalmente partire il lavoro di separazione tra assistenza e previdenza, insieme alla valutazione del paniere”.
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