Nella scuola l’uscita anticipata a 63 anni e 5 mesi, la cosiddetta Ape Sociale, non solo non è stata allargata ai docenti della secondaria, ma ha subito una inaspettata restrizione: tra i lavoratori considerati a rischio, che quindi svolgono professioni gravose, non risultano più i maestri della scuola primaria. Rimangono nel novero dei lavoratori usuranti riconosciuti, invece, i maestri della scuola dell’infanzia.
L’apertura per i colleghi della primaria, introdotta nel 2022, dopo soli due anni è quindi venuta meno: la Legge di Bilancio 2024 ha infatti negato i finanziamenti invece approvati nell’ultimo biennio.
Questo significa che l’ultima domanda di uscita dei docenti della scuola primaria di età superiore a 63 anni e che abbiano accumulato almeno 35 anni contributi, rimane quella prodotta entro lo scorso 30 novembre.
Resta da capire come mai la professione usurante, che per legge deve essere stata svolta per almeno 7 anni nell’ultimo decennio e per almeno 6 anni negli ultimi 7, possa essere concessa o meno in base alle politiche del governo di turno. Oppure della disponibilità economica dei fondi pubblici. Ma un diritto da assolvere, in questo caso alla meritata pensione, non rimane sempre tale, a prescindere dalle casse pubbliche?
Tra l’altro, questa retromarcia risulta ancora più incomprensibile: arriva, infatti, da un Governo composto da partiti politici, Lega in testa, che nei loro programmi elettorali di due anni fa prevedevano particolare attenzione per gli anticipi pensionistici e per il superamento della Legge Fornero.
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