Le maestre della primaria, gli insegnanti, il personale Ata e dirigenti scolastici se ne facciano una ragione: il Governo non ha nessuna intenzione di allargare anche a loro la platea dei lavoratori che potranno lasciare il lavoro prima dei 66 anni e sette mesi, presto destinati a diventare 67 anni.
Nella rosa di occupazioni su cui c’è disponibilità ad attuare la deroga, rientrano solo 15 attività particolarmente gravose e stressanti dal punto di vista fisico, tra cui anche le operatrici degli asili-nido e le maestre d’infanzia.
Niente da fare, nemmeno per le donne, ad iniziare da quelle con figli, su cui avevano puntato il dito i sindacati (anche perché il numero di deroghe si alzerebbe vertiginosamente).
La notizia non è nuova: già metà agosto, il viceministro dell’Economia Enrico Morando era stato categorico. Ora, però, a rendersi conto dell’ostilità del Governo sono anche i sindacati: a metà della tre giorni di incontri tecnici sul tema pensioni, si stanno sempre più innervosendo. E già parlano di possibile mobilitazione.
La segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, parlando a margine di un convegno, ha detto che le proposte emerse al tavolo tra Governo e sindacati sull’adeguamento alla speranza di vita dell’età di pensionamento “non vanno bene”.
L’ultima speranza, per la sindacalista Cgil, è l’incontro di lunedì 13 novembre con il presidente del consiglio: se anche in quell’occasione si confermerà la linea del Governo, come probabile, è “certo che se non ci saranno risposte alle richieste del sindacato decideremo quale forma di mobilitazione mettere in atto”.
“Se un meccanismo non va bene ed è ingiusto – ha detto – bisogna cambiarlo, Non si può semplicemente agire per deroghe”.
Secondo la leader della Cgil, “la prima risposta che continua a mancare è nel meccanismo ma mancano le risposte anche sulle pensioni dei giovani e sulle donne”.
L’ipotesi di esclusione dall’adeguamento dell’età di pensionamento di alcune categorie di lavori gravosi ipotizzato dal Governo secondo Camusso è “copiato da quello dell’Ape sociale. Non è quello che abbiamo proposto: è un modo per distrarre l’attenzione promettendo una cosa che abbiamo già verificato con l’Ape, non funziona. Continuiamo ad essere ben lontani dal dare le risposte che chiediamo”.
“In Germania andranno in pensione a 67 anni nel 2030, mentre noi siamo costretti a fare i conti con questa inaccettabile, insostenibile e ingiusta sovrapposizione tra la legge Fornero e il meccanismo dell’aspettativa di vita”, ha ricordato il leader della Uil Carmelo Barbagallo al Consiglio nazionale della Uil pensionati.
“Abbiamo sempre detto che il meccanismo automatico legato all’aspettativa di vita riferito a tutta la popolazione e poi applicato indifferentemente a tutti i lavori, che non sono tra loro uguali, crea problemi”, ha aggiunto, ricordando che i sindacati chiedono “una Commissione tecnico-scientifica per verificare quali siano i lavori gravosi. Abbiamo un anno di tempo, prima del 2019, per arrivare a una conclusione. Ora, bisogna dare risposte sull’adeguamento delle pensioni in essere, alle garanzie per i giovani che hanno lavori discontinui, alle diseguaglianze che gravano sulle donne dedite ai lavori di cura”.
Per il sindacalista “al Paese non servirebbe un Sindacato che scende in piazza, non vogliamo creare problemi alla già lenta ripresa economica: se ne rendano conto e non ci costringano a questo passo”.
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