Anche dal Governo giungono segnali d’apertura verso un’uscita anticipata di tre anni rispetto ai parametri della riforma Fornero, con penalizzazioni però piuttosto alte.
Qualche settimana fa era stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a dare una nuova speranza per tanti lavoratori attorno ai 60 anni d’età, sostenendo che la riduzione dei parametri di uscita dal lavoro sarebbe un ottimo viatico “per creare occupazione”.
Ora, da Palazzo Chigi giungono ulteriori segnali nella medesima direzione: allo studio del Governo, vi sarebbe una sorta di conferma della nota “opzione donna”. Che consisterebbe nell’uscita anticipata a 62-63 anni per le lavoratrici (probabilmente però anche per i lavoratori) con 35 anni di contributi versati.
Il prezzo da pagare, tuttavia, non sarebbe insignificante: considerando che con la riforma Fornero questa larga platea di dipendenti potrebbe lasciare non prima dei 65-66 anni, si tratterebbe di anticipare l’entrata in pensione di ben tre anni. Con l’assegno di quiescenza però decurtato di una cifra vicina al 10% (oltre il 3% annuo). Si tratterebbe, quindi, di una soluzione peggiorativa, in termini di “penale” da pagare rispetto al disegno di legge che ha come primo firmatario l’on. Cesare Damiano.
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E qui entra in gioco il via libera del Governo: perché Palazzo Chigi ha calcolato che siccome l’aspettativa di vita media in Italia si aggira sugli 82-83 anni, quei pensionati che accetteranno di lasciare il lavoro in anticipo alla lunga faranno spendere alla previdenza molti meno soldi. In media, in cambio di tre anni di pensione anticipata ve ne sarebbero altri 15 con assegno decurtato. Alla lunga, quindi, le casse dello Stato ne troverebbero giovamento.
Buone nuove sarebbero in arrivo anche per gli esodati (che però nella scuola non vi sono), rimasti senza lavoro e non ricollocabili a pochi anni dal pensionamento: per loro sarebbe in arrivo un prestito pensionistico, un assegno di solidarietà da ridare indietro, a rate mensili, una volta andati in pensione.
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