Le stime fornite nei giorni scorsi dalla Tecnica della Scuola erano corrette: i docenti della scuola primaria e secondaria che aderiranno all’Ape dovranno pagare una cifra più che “salata”.
Le cifre sono contenute nel testo della Legge di Stabilità giunto alla Camera, è previsto che in caso di tre anni e sette mesi di anticipo rispetto all’età di vecchiaia e di un’Ape richiesta al 100% della pensione certificata mensile la rata si avvicinerà al 20% della pensione netta.
In base alle informazioni che provenivano, tre settimane fa avevamo calcolato, per una pensione lorda di 2mila euro (quella che potrebbe percepire un docente a fine carriera), in 300 euro mensili, da ridare indietro per 20 anni (72mila euro totali) la “penale” da pagare in cambio dello “scivolo” di circa 3 anni e mezzo. Non c’eravamo sbagliati.
Il team economico di Palazzo Chigi, guidato dal sottosegretario Tommaso Nannicini, ha realizzato uno studio ricco di slide e tabelle, con diversi casi pratici. Le tabelle riportano che le ipotesi finanziarie di base sono di un TAN al 2,5% e di un premio assicurativo del 29% del capitale mentre è prevista una detrazione fiscale del 50% della quota di interessi e del “premio”.
A fronte, ad esempio, di una pensione netta certificata dall’Inps di 1.286 euro al mese per 13 mesi (da una lorda di 1.615 euro) e una richiesta per l’Ape dell’85% della pensione netta mensile per tre anni (1.093 euro al mese) – secondo i calcoli di palazzo Chigi – la rata una volta raggiunta la pensione di vecchiaia sarebbe di 258 euro al mese ma scenderebbe a 208 grazie alle agevolazioni fiscali. Quindi, salendo a 1.500 euro nette, il pagamento si avvicinerebbe ai 300 euro da noi ipotizzati.
Si tratta, è bene dirlo, di uno dei casi più onerosi. Ma anche quello più ambito, visto che coloro che invece si ritroveranno attorno ai 65 anni di età potrebbero decidere di “tenere duro” ancora per un anno e mezzo.
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In generale, la rata varierà tra il 2% e il 5,5% a seconda della percentuale di Ape richiesta rispetto alla pensione certificata per 20 anni.
La rata all’inizio della restituzione è più alta (circa 5,4% dell’assegno) per poi scendere con il passare degli anni (4,1% al termine della restituzione) con l’aumento della pensione. Dal momento in cui si accede alla pensione di vecchiaia per tutti i 20 anni di restituzione del prestito si avrebbe una pensione netta meno rate e detrazioni di 1.078 euro al mese. La platea potenziale per l’Ape volontaria secondo il Governo sarà di 300.000 persone nel 2017 e di 115.000 nel 2018.
Chi, invece, pagherà cifre indubbiamente più tollerabili sono le maestre d’infanzia (la cui professione è stato considerata usurante): superando i 1.500 euro lordi (la soglia di reddito per accedere gratuitamente all’Ape social) andranno in pensione con il reddito “ponte” che sarà in buona parte a carico dello Stato: il resto lo pagherà il lavoratore che ha beneficiato dell’anticipo. Questo avverrà, però, solo per la quota che supera la soglia.
Secondo le stime fornite dall’on. Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, “per un’Ape agevolata da 2.000 euro lordi mensili, si applicherà circa l’1% di penalizzazione per ogni anno di anticipo”.
Si tratterà di restituire(dopo i 67 anni) meno di 20 euro mensili l’anno. Per chi beneficerà dei tre anni e 4 mesi massimi consentiti, si tratterà di pagare circa 60 euro. Pari a 750 euro annui. Che per 20 anni fanno 15mila euro.
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