Più che quota 100, sarebbe meglio chiamarla quota 38: sono gli anni di contributi che il governo ha deciso di chiedere ai lavoratori cha dal 2019 vorranno lasciare anticipatamente il lavoro a partire dai 62 anni di età.
Ciò significa che gli unici a beneficiare dalla tanto citata quota 100 saranno i nati nel 1957: solo loro, infatti, se in possesso dei 38 anni di contributi minimi richiesti, potranno lasciare in servizio raggiungendo la fatidica cifra.
Per chi è nato dopo, dal 1958 in poi, invece, se ne riparlerà l’anno successivo. Mentre chi è nato dopo, se vorrà aderire al piano del governo contenuto nel Def, potrà lasciare comunque con non meno di 38 anni di contribuzione pensionistica.
Ciò significa, per intenderci, che coloro che nel 2019 avranno 63 anni dovranno raggiungere quota 101. Per chi ha avrà 64 anni, la somma degli anni salirà a 102. Sino ai 104 anni complessivi che saranno necessari per chi vorrà lasciare un anno prima.
La buona notizia, per tutti, è quella che non dovrebbero scattare penalizzazioni alcune sull’assegno d quiescenza: nemmeno dell’1,5 per cento paventato nei giorni scorsi.
Questo significa che a lasciare il lavoro sarebbero, secondo le stime della maggioranza, non meno di 400 mila lavoratori, con un’alta percentuale di insegnanti sia del primo ciclo (che hanno iniziato a lavorare già attorno ai 20 anni) sia della secondaria (che possono far valere il riscatto della laurea).
Nel computo sono inclusi anche coloro che beneficeranno dell’Ape sociale (rivista e corretta) e dell’opzione donna (servono 35 anni di contributi ed almeno 57 anni e tre mesi di età anagrafica, ma con riduzione dell’assegno pensionistico del 20-30 per cento).
Quello che l’attuale governo giallo-verde considera l’avvio della controriforma Fornero, costerà il primo anno circa 8 miliardi di euro: a beneficiarne saranno oltre 400 mila lavoratori. Di questi, un’ampia fetta sarà costituita da insegnanti. Di tutti i cicli.
Perché potrebbero avvantaggiarsene i maestri dell’infanzia e della primaria, in larghissima parte donne, almeno quelli che hanno iniziato a lavorare poco dopo il conseguimento del diploma; ma a fruire dell’anticipo pensionistica con soglia minima di contributi posta a 38 anni, sarebbero anche molti professori laureati della secondaria, i quali si farebbero vare gli anni di studio all’università attraverso il riscatto oneroso (la cui entità varia a seconda dell’anno di presentazione della richiesta).
Disco rosso, invece, per l’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica: se ne riparlerà nel 2019 ha promesso il vice premier Luigi Di Maio.
Solo per i lavoratori precoci (quelli che hanno cominciato a lavorare prima dei 19 anni) in situazioni di difficoltà (per i quali era intervenuto il Governo Gentiloni) come la disoccupazione o la disabilità di un familiare resta l’accesso alla pensione con 41 anni di contribuzione indipendentemente dall’età.
Per la pensione anticipata indipendente dall’età anagrafica, nella migliore delle ipotesi, il Governo potrà procedere al blocco dell’aumento dell’aspettativa di vita di cinque mesi e quindi il mantenimento dei 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne).
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