Lasciare il lavoro con 41 anni di contributi versati o riconoscibili, anche attraverso il riscatto della laurea o di periodi figurativi. Dopo l’anticipo pensionistico Quota 100, è questo l’obiettivo su cui si starebbe concentrando il Governo giallo-verde.
Ad annunciarlo è stato il vicepremier Matteo Salvini, che a Foligno ha così risposto alle critiche dell’Unione europea sull’aggravamento del debito dell’Italia, commentando così la notizia del giorno alla pari dell’altro vicepremier Luigi Di Maio.
“Sulla legge Fornero siamo solo all’inizio. La lettera dell’Ue ci dice che abbiamo sbagliato a iniziare a smontarla e ad approvare ‘Quota 100’. Io rispondo educatamente che siamo solo all’inizio perché l’obiettivo è quota 41”, ha sottolineato Salvini
“Andare in pensione dopo 41 anni di fabbrica, di negozio o di ospedale mi sembra il minimo. Quindi sarà un bel confronto tra due prospettive diverse, di vita”, ha tagliato corto il vicepremier leghista, allineandosi quindi alle parole dell’altro vicepremier Luigi Di Maio, per il quale le pensioni non si toccano.
Anche secondo i sindacati, la strada della riduzione dei contributi minimi utili a lasciare il servizio è quella giusta.
“Bisogna continuare a modificare la Legge Fornero, affrontando il tema dei 41 anni di contributi, le future pensioni dei giovani e valorizzando, ai fini previdenziali, il lavoro di cura delle donne e la maternità”, ha commentato il segretario confederale Uil Domenico Proietti
“Il Governo separi finalmente la spesa previdenziale da quella assistenziale, dimostrando all’Europa che l’Italia spende per pensioni l’11% del pil, un punto in meno della Francia e mezzo punto in meno della Germania”, ha ricordato Proietti.
Il sindacalista ha anche tenuto a dire che “negli ultimi tre anni l’Italia ha solo cominciato un riallineamento per l’età di accesso alla pensione intorno ai 63 anni, come avviene in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Nessuna marcia indietro quindi, ma solo un primo passo verso un sistema previdenziale più equo e giusto”.
Intanto, spunta la notizia che il taglio sulle pensioni d’oro (quelle superiori a 100.000 euro lordi) varato dal governo gialloverde e partito con la rata di giugno sarebbe a forte rischio di incostituzionalità: a sostenere questa tesi è il presidente di Itinerari previdenziali, ente di ricerca su welfare e pensioni, Alberto Brambilla, che ha anche espresso preoccupazione su una misura che non prevede un ricalcolo degli assegni sulla base dei contributi versati ma di fatto “è un aumento dell’imposizione fiscale limitata a 29.000 cittadini”, quelli che hanno assegni pensionistici superiori a questa soglia.
Secondo l’esperto di previdenza, stiamo parlando di “un taglio” vero e proprio che, per percentuale e durata, non ha precedenti.
“Sarebbe più corretto definirlo – spiega Brambilla – un incremento tra il 15% e il 40% di imposte su pensioni peraltro già assoggettate a una tassazione superiore al 40%”.
“Non trattandosi di ricalcolo contributivo, il “ricalcolo” è un evidente aumento dell’imposizione fiscale limitata a soli 29.000 cittadini nella posizione di pensionati, che non si possono neppure difendere, mentre se contributo fiscale doveva essere avrebbe dovuto gravare su tutte le tipologie di redditi (e non solo su quelli da pensione)”, ha concluso l’esperto di previdenza.
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