Non avevamo sbagliato nel prevedere che sui pensionamenti dei lavoratori si sta andando sempre peggio, sovvertendo clamorosamente le promesse della Lega di smontare la Legge Fornero.
Dai dettagli della Legge di Bilancio 2024 risulta che non solo nel 2024 si potrà lasciare il servizio raggiungendo almeno Quota 104, composta da 63 anni di età e 41 di contributi (erano 62 e 41 nel 2023), ma spunta anche una maggiore penalizzazione sull’assegno di quiescenza: anticipare il pensionamento di quattro anni prima dell’età di vecchiaia prevista dalla Legge Fornero, appunto a 63 anni, comporterà una riduzione di circa il 4% sull’importo complessivo: si avrà, ha calcolato l’Ansa, “una riduzione sulla quota retributiva (circa un terzo del totale in media), basata sul rapporto tra il coefficiente di trasformazione per l’età di uscita e quello dell’età di vecchiaia, di circa il 12% nel caso di quattro anni di anticipo”.
L’agenzia di stampa fa anche un esempio sulla pensione da 2.500 lordi al mese: in questo caso, “si perderebbero circa 100 euro”. Inoltre, “si allungano le finestre per l’uscita: da tre a sei mesi per il privato e da sei a nove mesi per il pubblico. Potranno uscire i nati nel 1961 che hanno cominciato a lavorare almeno nel 1983 senza buchi contributivi”.
Opzione donna: sempre meno conveniente
La “stretta” riguarda anche l’Opzione donna: aumenta infatti di 5 mesi, fino a 63 anni e 5 mesi, l’età per l’accesso all’ammortizzatore che accompagna alla pensione disoccupati, caregiver, invalidi con almeno il 74% e impegnati in lavori gravosi. Come “aumenta di un anno, fino a 61 anni l’età minima per l’accesso a Opzione donna, ai quali va aggiunto un anno di finestra mobile (un anno e mezzo per le autonome). Potranno usarlo le donne nate fino al 1963 che hanno almeno 35 anni di contributi nel 2023 e quindi hanno cominciato a lavorare almeno dal 1988 ricalcolando tutto l’importo con il metodo contributivo”.
Nel caso di Opzione donna la riduzione dell’assegno rimane sempre considerevole: oltre alla mancata considerazione degli ultimi anni di lavoro, che avrebbero pesato non poco sulla consistenza della pensione, va ricordato che tutti i contributi, quindi anche quelli pre 1996 di tipo retributivo, rientrano nella modalità mono conveniente del regime contributivo.
Cgil: disattese le promesse, sarà sciopero
Le decisioni del Governo sono state accolte con molto dissenso dall’opposizione politica. E anche in ambiente sindacale: la Cgil ha annunciato lo sciopero generale.
Secondo Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil con la delega sulle pensioni, “il governo disattende tutte le promesse elettorali fatte, anche sulle pensioni: non c’è niente per i giovani, c’è un netto peggioramento per le donne. E si penalizza chi ha un percorso di lavoro più fragile: i manager andranno prima in pensione rispetto a chi lavora nelle ditte di pulizia in virtù dell’aumento della soglia sulla pensione sociale, passata a 3,3 volte. Si fa cassa sulle pensioni e viene meno l’impegno di superare la legge Fornero”.
“Questa è una delle principali ragioni che ci porterà allo sciopero generale delle prossime settimane”, sottolinea la sindacalista.
Opzione donna, continua la segretaria confederale della Cgil, “viene resa meno accessibile e ancor più penalizzante”, con “l’ultima bozza della legge di Bilancio che prevede tra l’altro l’aumento della soglia per l’uscita anticipata nel sistema contributivo, che passa dal 2,8 a 3,3 volte l’assegno sociale”.
Nel complesso con gli interventi delineati in manovra “le persone andranno in pensione più tardi e con varie penalizzazioni anche economiche”, conclude Ghiglione.
Le altre novità in arrivo sui pensionamenti
Ma ci sono anche altre novità introdotte con la manovra di fine 2023: l’adeguamento alla speranza di vita per chi va in pensione a prescindere dall’età una volta raggiunti 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 le donne) partirà nel 2025 e non nel 2027. Resta la finestra mobile di tre mesi.
Inoltre, se la Legge di Bilancio 2024 riduce al minimo i canali di pensionamento in anticipo rispetto all’età di vecchiaia (67 anni), inserendo penalizzazioni per chi decide per il pensionamento, è anche vero che dà la possibilità a chi non raggiunge un importo pensionistico di almeno 1,5 volte l’assegno sociale di andare in pensione a 67 anni senza aspettare i 71 previsti oggi.
Cambiano, infatti, le fasce per il recupero dell’inflazione con una perequazione al 90% per quella tra quattro e cinque volte il minimo invece dell’85% previsto per il 2023. Scende al 22% (dal 32% previsto per quest’anno) la rivalutazione per gli assegni superiori a 10 volte il minimo. Resta al 100% la rivalutazione rispetto all’inflazione per gli assegni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.254 euro lordi).
Via libera anche al riscatto a favore dei lavoratori discontinui: per il biennio 2024-2025, i lavoratori che hanno cominciato a versare dal 1996 (e sono quindi interamente nel regime contributivo) possono riscattare, in tutto o in parte, i periodi di vuoto contributivo fino a un massimo di cinque anni parificandoli a periodi di lavoro. Il versamento si può fare al massimo in 120 rate mensili senza interessi. La rateizzazione non è possibile se questo versamento serve per l’accesso alla pensione.
Scende poi la soglia per accedere alla pensione a 67 anni: la manovra prevista dal Governo Meloni, infatti, cancella la soglia minima per l’importo della pensione maturata di 1,5 volte l’assegno sociale limitandola all’assegno sociale stesso (503 euro), lasciando invece invariata la necessità di avere almeno 20 anni di contributi versati: si tratta di una norma che aiuta chi ha avuto carriere discontinue e con stipendi bassi che rischiava di andare in pensione a 71 anni.
Viene infine però innalzata la quota dell’importo dell’assegno maturato per andare in pensione tre anni prima dell’età di vecchiaia, passando da 2,8 a 3,3 volte l’assegno sociale.