Pensione social ai maestri infanzia: non perché stressante, solo per favorire il turn over

Ha suscitato diverse reazioni l’articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera sui lunghi tempi di attesa per vedere svuotate le GaE dei maestri d’infanzia.

Non vogliamo entrare nel merito dell’articolo e dalla prospettiva, probabilmente pessimistica ma nemmeno troppo lontana dalla realtà. Vogliamo, invece, soffermarci su uno dei tanti commenti. Quello ‘postato’ su Facebook da Marco Campione, già capo al Miur della segreteria del sottosegretario Davide Faraone, oggi componente della segreteria tecnica della ministra Valeria Fedeli.

Nella sua lunga spiegazione sui perché è stato deciso di rimandare la stabilizzazione dei maestri degli alunni da tre a sei anni, Campione parla di “due interventi: 1- la delega 0-6, che porterà un aumento dell’offerta e alla statalizzazione di alcune sezioni comunali (anche sul segmento 0-3 ovviamente, che non risolve il problema GAE ma risolve quelli di molte famiglie e dei loro bambini: spero nessuno vorrà lamentarsene). Il finanziamento è ingente ma non sufficiente. Il percorso però è tracciato e potrà essere finanziato ulteriormente con legge di bilancio; 2 – la misura dell’anticipo pensionistico (APe) che dovrebbe dare una accelerazione nei pensionamenti nei prossimi anni, aumentando così il turnover”.

 

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È quest’ultimo punto su cui vogliamo soffermarci. Perché, in pratica, sembrerebbe di capire che il Pd ha aperto l’Ape social (senza particolari cost da affrontare, a differenza dell’Ape ordinaria) ai maestri della scuola dell’infanzia, principalmente per agevolare il turn over. Visto che le loro GaE sono stracolme ancora di persone (molte delle quali per effetto delle sentenze). E non, quindi, come sapevamo, perché si tratta di una professione di alto logoramento psico-fisico.

Potremmo aver inteso male. In tal caso, saremmo ben lieti di ospitare una precisazione dello stesso Campione. Ma se le cose stanno così, se quindi l’Ape agevolata non è scattata per i maestri d’infanzia a causa della particolarità del lavoro che svolgono, non è una buona notizia per tutti gli altri docenti.

Significa, in pratica, che possono davvero mettere da parte le speranze di vedere inclusa tutta la categoria (includendo quindi i colleghi di primaria, medie e superiori) tra quelle considerate più faticose e che non possono essere praticate fino alla soglia dei 70 anni.

Perché se il concetto non vale per chi insegna agli alunni più impegnativi, figuriamoci per agli altri. Così, a meno che il Governo che verrà non cambi prospettiva, ad oggi la situazione è questa.

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Alessandro Giuliani

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