Dal 1 gennaio 2018 novità sul fronte delle pensioni. Le lavoratrici dipendenti del privato e quelle autonome avranno un balzo in avanti dell’età pensionabile rispettivamente di un anno secco e di 5 mesi e, così, raggiungeranno la quota di 66 anni e 7 mesi.
Si tratta dell’ultimo scalino della riforma Fornero per arrivare alla piena equiparazione tra uomini e donne di tutti i comparti nelle regole di accesso alla pensione di vecchiaia.
Una parificazione che prelude al successivo salto in alto per tutti che scatterà dal 2019, con l’aumento a 67 anni.
Ecco un riepilogo della situazione, così come segnalato da Quotidiano.net
A distanza di sei anni dal varo della riforma del governo Monti si raggiunge anche un’altra tappa nella vita di milioni di persone: la completa unificazione dell’età pensionabile per le diverse categorie di lavoratori. All’appello mancavano le lavoratrici dipendenti del settore privato, che negli ultimi due anni (2016 e 2017) potevano andare in pensione di vecchiaia a 65 anni e 7 mesi e le lavoratrici autonome (artigiane e commercianti) che potevano lasciare l’attività a 66 anni e un mese. Le dipendenti del pubblico impiego erano state equiparate agli uomini fin dal 2012. Dal prossimo primo gennaio tutti a 66 anni e 7 mesi. Da quello successivo tutti con 5 mesi in più.
Non cambiano, invece, i requisiti per la cosiddetta pensione anticipata, quella alla quale si può accedere a prescindere dall’età anagrafica, sulla base degli anni di contributi versati. Per questa formula, però, rimane la distinzione tra uomini e donne: i primi potranno lasciare il lavoro con 42 anni e 10 mesi di attività, le seconde con 41 anni e 10 mesi. Dal 2019 si aggiungeranno cinque mesi in più.
Nel giro di qualche giorno cambierà anche il limite di età richiesto per ottenere l’assegno sociale, che è quella prestazione assistenziale prevista al posto della pensione sociale per coloro che hanno bassi redditi e contributi zero o inadeguati per chiedere il pensionamento normale. Anche qui si passa da 65 anni e 7 mesi a 66 anni e 7 mesi.
Le regole generali presentano diverse deroghe. Quella più tradizionale riguarda coloro che svolgono mansioni usuranti o lavori notturni, come individuati nelle tabelle specifiche. Nel 2018 la pensione, per i lavoratori indicati, può essere conquistata con 61 anni e 7 mesi di età, 35 anni di contributi e il contestuale raggiungimento della quota 97,6 (come somma di età e contribuzione).
La categorie dei lavoratori inserite tra quelle “usuranti”, aggiornate agli ultimi ritocchi, sono:
Prevista per lavori gravosi (e non solo). Dal 2017 è possibile ottenere una sorta di pre-pensione assistenziale a partire dai 63 anni e 7 mesi per coloro che si trovano in condizioni di disagio (disoccupati, invalidi, con familiari disabili) o che svolgono attività considerate gravose (15 categorie).
Il 2018 dovrebbe essere, infine, l’anno dell’Ape volontario: con la possibilità di lasciare il lavoro dai 63 anni e 7 mesi in avanti, chiedendo un prestito-ponte ventennale erogato mensilmente dall’Inps da rimborsare con rate sulla pensione maturata.
I lavoratori che si trovano nelle condizioni per ottenere l’Ape social o che sono impiegati in lavori usuranti possono agganciare direttamente la pensione anticipata con 41 anni di contributi se hanno lavorato per almeno dodici mesi durante la minore età.
Il balzo in avanti di un anno secco nell’età pensionabile per le lavoratrici dipendenti private penalizzerà principalmente le donne nate nel 1953 che, per un terribile gioco di incroci e requisiti, finiranno per poter andare in pensione di vecchiaia solo nel 2020. Mentre le nate nel 1952 sono di fatto quasi tutte in pensione, per effetto di un paio di eccezioni previste fin dal varo della riforma Fornero. Con il risultato complessivo che, nei prossimi dodici mesi, saranno pochissime le lavoratrici private che andranno in pensione di vecchiaia.
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