Pensionamento e previdenza

Pensioni, 41 anni di contributi posson bastare

Il Governo sta lavorando ad un’ipotesi di sterilizzazione dell’aspettativa di vita per l’accesso alla pensione da inserire in legge di Bilancio. Ma ai sindacati e alle associazioni non basta e tornano a chiedere come soglia di accesso i 41 anni di contributi. Una possibilità però per l’Inps inattuabile.

Soluzione nella legge di bilancio

La notizia del no all’innalzamento ulteriore, legato alla vita media degli italiani, è giunta il 22 ottobre direttamente dal ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico, dopo che il titolare del dicastero, nonché vicepremier, Luigi Di Maio, ha incontrato i rappresentanti di “quota 41”, ovvero i lavoratori che hanno 41 anni di contributi ma non possono andare in pensione perchè troppo giovani.

“Il ministro – riporta la nota – ha dato mandato ai suoi tecnici di lavorare ad una soluzione da portare in legge di bilancio partendo anche da un’ipotesi di sterilizzazione dell’aspettativa di vita”.

Cosa significa

Questa “sterilizzazione” si traduce, in pratica, nell’evitare che si elevino ulteriormente gli anni di età anagrafica e di contributi richiesti ad oggi, in virtù del progressivo aumento dell’aspettativa di vita media nel territorio nazionale.

Di fatto, significa che probabilmente nel 2019 la pensione di vecchiaia potrebbe rimanere immutata a 66 anni e 7 mesi (senza raggiungere quota 67 anni, come previsto dal Governo Gentiloni), mentre sul versante dei contributi, si potrebbe forse evitare il passaggio a 43 anni e 3 mesi di contributi per la pensione anticipata per gli uomini (oggi 42 anni 10 mesi) e a 42 anni e 3 mesi per la pensione anticipata delle donne (oggi a 41 anni e 10 mesi). Inoltre, si scongiurerebbero incrementi ulteriori progressivi, anche questi basati sull’aspettativa di vita.

Dal Governo continuano a giungere segnali in questa direzione: sempre il 22 ottobre,, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon parlando a Roma nel corso di un convegno organizzato da Federmanager, ha detto che la quota 100 per l’accesso alla pensione “renderà le aziende più competitive” e che “è fondamentale per il ricambio generazionale. La platea è di circa 400.000 persone e prevederemo due anni di divieto di cumulo (tra lavoro e pensione, ndr)”. Di questi, circa 80 mila sarebbero docenti, Ata e dirigenti della scuola.

Qualche giorno fa, invece, sul tema del pensionamento anticipato si era espresso l’altro vicepremier, Matteo Salvini: il leghista aveva detto che “inizia un percorso con 7 miliardi il prossimo anno, che crescono negli anni successivi”, sottolineando che “l’obiettivo finale è azzerare tout court la legge Fornero”. L’obiettivo, ha detto, è anche quello “di arrivare a quota 41 pura”.

La richiesta: non penalizzate chi anticipa

Pure i tre sindacati maggiori, Cgil, Cisl e Uil, in un documento unitario hanno formulato una richiesta di questo genere, indicando, fra le proposte per la prossima legge di bilancio, che sul fronte della previdenza “siano sufficienti 41 anni di contributi per andare in pensione a prescindere dall’età”.

Sempre per i Confederali, quota 100 è “una strada utile sapendo che da sola non risponde appieno alle esigenze di molti” e “non deve penalizzare i lavoratori sul calcolo, né avere altri vincoli o condizioni d’accesso”: la richiesta, quindi, è chiaramente quella di procedere all’anticipo pensionistico, sia tramite quota 100 sia con i 41 anni di contributi, senza però alcuna penalizzazione.

Le altre rivendicazioni sindacali

Tra le richieste dei sindacati, figura anche quella sul lavoro di cura non retribuito: si chiede che venga riconosciuto anche a livello previdenziale. Per le donne, inoltre, ribadiscono la richiesta di riconoscere dodici mesi di anticipo per ogni figlio. E per i giovani, invece, sulla creazione di una pensione contributiva di garanzia, che valorizzi anche i periodi di discontinuità lavorativa, di formazione, di basse retribuzioni nell’ottica di assicurare nel futuro un assegno “dignitoso”.

Anche Cgil, Cisl e Uil chiedono di cancellare il meccanismo automatico di adeguamento all’aspettativa di vita. Oltre che di garantire, come previsto dall’attuale normativa, il ripristino dal primo gennaio 2019 della piena rivalutazione delle pensioni; di rilanciare le adesioni alla previdenza complementare, anche a livello fiscale.

Il rischio vero dell’assegno ridotto

Come già scritto dalla Tecnica della Scuola, però, quelle dei rappresentanti dei lavoratori rimangono delle richieste difficilmente realizzabili: in base quanto fatto sapere da fonti autorevoli, a partire dalla Rai, “il ricalcolo dell’assegno” di quota 100, ad esempio, sarebbe “totalmente contributivo”. E cadendo il sistema cosiddetto “misto”, vi sarebbero “pesanti ricadute” sulla consistenza della pensione stessa.

A quantificare il “danno” sull’assegno di quiescenza ci ha pensato Tito Bori presidente Inps, nel corso di una doppia audizione alla Camera sulla riforma pensionistica:

La bocciatura di Boeri

Il numero uno dell’Inps ha detto, tra le altre cose, che “con il requisito minimo di 62 anni e 38 di contributi per l’accesso alla pensione, con la proroga dell’ape sociale , con l’opzione donna, il mancato adeguamento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata e il congelamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia si avranno costi aggiuntivi di sette miliardi nel 2019, 11,5 miliardi nel 2020, di 17 miliardi nel 2021 e costi complessivi aggiuntivi nei primi 10 anni di 140 miliardi”. “Fino al 2046 si spendono 400 miliardi in più – ha avvertito Boeri – e dopo si hanno risparmi. L’impatto sul debito implicito è di 100 miliardi. L’elemento importante è la mancata indicizzazione alla speranza di vita”.

In pratica, solo dal 2046 in poi la spesa dovrebbe scendere perché le persone saranno andate in pensione in anticipo e con assegni più bassi rispetto a quelli che avrebbero ottenuto andando a riposo con le regole attuali.

Una bocciatura, quella di Boeri, in piena regola. Se e quanto inciderà sulla decisione ultima del Governo non è dato sapere.

Alessandro Giuliani

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