Per la scuola quello di febbraio è il mese di cui si parla già di pensionamenti. Sono quelli che prenderanno corpo sei mesi dopo. E quest’anno si registra, a quanto risulta a “Repubblica.it”, il 23% in più di addii al servizio rispetto a quello passato: il settembre scorso andarono in pensione 10.860 insegnanti e 3.662 amministrativi, tecnici e ausiliari. Nell’estate del 2014 toccherà a 13.380 insegnante (2.520 in più) e 3.697 Ata (appena 35 in più).
Se si guarda al passato recente l’incremento, in effetti, c’è stato. Se invece si va a confrontare il dato degli attuali pensionamenti con quelli in po’ più indietro c’è poco da gioire. Solo due anni fa, nel 2012, se ne erano andati in oltre 30 mila. Se poi si va indietro cinque anni prima, il gap diventa enorme. Facendo crescere i rimpianti, per un turn over ormai sempre più ridotto.
“Per comprendere la modesta portata dei pensionamenti concessi da Viale Trastevere – sostiene l’Anief – basta prendere come riferimento quelli che si realizzarono nel 2007, quando furono più di 51mila le cessazioni di servizio dei dipendenti della scuola: praticamente il triplo di quelle che si concretizzeranno quest’anno. Si tratta di numeri eloquenti. Che dimostrano quello che l’Anief sostiene da quando è stata approvata la riforma Fornero attraverso il decreto legge n. 201, del 6 dicembre 2011, convertito con la legge n. 214 del 22 dicembre 2011: la scuola italiana doveva adottare la riforma pensionistica in modo graduale”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, è la conferma che “la scuola necessita di una deroga rispetto alle nuove norme che regolano l’uscita dal mondo del lavoro: il Parlamento italiano, durante il Governo Monti, ha creato un meccanismo infernale che entro qualche anno produrrà una quantità industriale di insegnanti ultra 60enni. Pensiamo, per un attimo alle maestre della materna, che si occupano di bambini di 3-4 anni. Come si fa a parlare di scuola di qualità in queste condizioni?”.
In mancanza di una modifica alle norme pensionistiche, il sindacato ritiene indispensabile dare la possibilità a chi ha svolto 25-30 anni di insegnamento di rimanere in servizio con ruoli alternativi a quelli della didattica frontale: un ocente con tanta esperienza alle spalle dovrebbe avere l’opportunità di attuare compiti diversificati.
“I docenti alle soglie della pensione – continua Pacifico – potrebbero essere impiegati come tutor, formatori o supervisori dei giovani docenti. Oppure come orientatore per gli studenti. Sono delle soluzioni, già praticate con fortuna in diversi Paesi, che permetterebbero ai docenti rimasti in servizio, loro malgrado, di poter mettere a disposizione la tanta esperienza accumulata negli anni a favore dei colleghi inesperti. Ma anche degli alunni, fornendogli quella assistenza in fase di scelta dei nuovi corsi, che risulterebbe decisiva per abbattere quell’abbandono scolastico che in Italia è cinque punti percentuali sopra la media Ue. Si darebbe infine di nuovo respiro al turn over”.
Quelle dell’Anief rimangono però delle proposte. Che molti addetti ai lavori condivideranno. La realtà però è ben’altra. E più si va avanti, più salgono il coefficiente relativo all’aspettativa di vita e l’età minima di pensionamento delle donne. Che nella scuola rappresentano oltre l’80% del personale. Se tanto mi dà tanto…