Legge Fornero, reddito di cittadinanza e flat tax: sono gli argomenti principali di cui hanno parlato sabato 28 luglio il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e il presidente dell’Inps, Tito Boeri.
Il rappresentante di governo ha detto che intende andare avanti con il piede sull’acceleratore, quindi con i primi provvedimenti sulla “triade” già nella legge di bilancio di fine anno, perché si tratta di “emergenze sociali” che vanno realizzate “il prima possibile. Anzi, subito”, come ha ribadito il giorno dopo in una intervista al quotidiano Il Corriere della Sera.
Certamente, bisognerà fare i conti con il nodo delle risorse e dei vincoli di finanza pubblica, più volte citati del numero uno dell’Inps.
Ancora di più perché, ricorda l’Ansa, in quella che fino a qualche anno fa si chiamava Legge Finanziaria, parte da un conto ‘minimo’ che supera i 20 miliardi di euro, considerando che solo per disinnescare l’aumento dell’Iva servono 12,4 miliardi nel 2019 (19,5 miliardi nel 2020), a cui vanno necessariamente aggiunte le spese obbligatorie e per gli interessi. A questi finanziamenti, poi, vanno aggiunti quelli di politica economica sul tavolo del governo.
Il capitolo delle pensioni anticipate rimane dunque uno dei punti fermi: solo che la cancellazione della legge Fornero, secondo diversi calcoli, costerebbe solo il primo anno 14 miliardi (a regime 20 miliardi).
Tra le misure che intanto potrebbero entrare a far parte del pacchetto previdenziale c’è la cosiddetta ‘quota 100’ (data dalla somma tra età anagrafica e contributi versati): una delle ipotesi sarebbe di fissare l’età minima a 64 anni e a 36 gli anni di contributi. L’operazione avrebbe un costo variabile a seconda delle opzioni: in base a recentissime simulazioni dell’Inps, rinunciando, invece, ai 41 anni, il primo anno si spenderebbero 4,6 miliardi.
Il ripristino della pensione di anzianità con 41 anni di contributi e ‘quota 100’ con 64 anni di età minima nel 2019 costerebbe 11,6 miliardi, per 596 mila pensioni in più a fine anno.
L’ipotesi, ovviamente, si rivelerebbe una vera doccia fredda per tanti lavoratori più giovani, circa 150mila della scuola, che avendo raggiunto o in procinto di raggiungere ‘quota 100’ già speravano, con il nuovo governo, di poter lasciare il lavoro anzitempo.
Per disincentivare un esodo di massa, che metterebbe in crisi le casse dell’Inps e costringerebbe i datori di lavoro, Stato compreso, ad un oneroso turn over, sarebbe anche allo studio un sistema di tagli all’assegno per chi lascia prima e incrementi sostanziosi all’assegno pensionistico, fino al 20-30%, per chi rimane.
Nel “pacchetto” pensioni, infine, c’è anche il taglio delle pensioni d’oro, superiori ai 4mila euro netti mensili nella parte non coperta dai contributi versati. E c’è la volontà di aumentare le pensioni minime, poco sopra i 500 euro mensili, proprio usufruendo dei risparmi delle pensioni da nababbi.
Un altro punto inserito nel programma M5S-Lega è il reddito di cittadinanza, che parte dal potenziamento dei centri per l’impiego, su cui il ministro ha avviato il confronto con le Regioni.
La misura, che nel contratto di governo è indicata in un aiuto pari a 780 euro al mese, è infatti legata al reinserimento nel mondo del lavoro.
Per tale manovra, i finanziamenti sarebbero ancora più alti di quelli necessari per anticipare le pensioni: l’Inps ha calcolato che per realizzarlo costerebbe a regime sui 35 miliardi di euro. Alternativa, sostenuta anche da Boeri, è allargare il reddito di inclusione. Misura per la quale sono già stanziati 2 miliardi nel 2018, incrementati nel Fondo povertà di altri 700 milioni nel 2019 e 900 milioni dal 2020. Il Rei oggi tocca oltre un milione di persone (311 mila famiglie); l’importo medio mensile è di 308 euro. Per raggiungere i 5 milioni di poveri assoluti, servirebbero, come indicato dall’Inps nell’ultimo rapporto annuale, altri 6,2 miliardi.
L’ultimo punto di cui hanno parlato Di Maio e Boeri è stata la flat tax: anche in questo caso, i costi si prevedono altissimi. Per ottenere le due aliquote fisse sia per le famiglie che per le imprese, al 15% e al 20%, bisognerà così pensare ad un’azione progressiva.
Anche in questo caso, nella Legge di Bilancio sono previsti però dei primi “movimenti”: in particolare, sembra che il governo voglia agire sulle partite Iva, estendendo il regime forfettario al 15% per soglie di fatturato più alte rispetto ai limiti attuali (oggi fermi 30.000 euro per i professionisti e 50.000 euro per gli altri).
Anche in questo caso, come per l’addio alla legge Fornero e il reddito di cittadinanza, la prossima Legge di Bilancio conterrà solo un “assaggio” delle manovre annunciate.
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