“Se si vogliono far ripartire i consumi, non si possono tenere ancora bloccati i contratti o inchiodati al posto di lavoro i nonni, con i trentenni a casa”.
A dirlo è Annamaria Furlan, segretario generale Cisl, parlando della legge di Stabilità in via di definizione in un’intervista a La Repubblica del 22 agosto. A proposito delle modifiche alla riforma Monti-Fornero, la leader sindacale ha detto di stare “alle dichiarazioni del governo che ci ha assicurato risorse ‘rilevanti’ per le pensioni”.
Ad oggi, però sulle pensioni, le notizie per chi lavora nella scuola non sono granché buone: l’obiettivo di tutelare oltre 170mila lavoratori bloccati dalle nuove norme per accedere all’assegno della pensione, non riguarda docenti e Ata. L’ottava salvaguardia, servirà in prevalenza per tutelare una platea di “30-35 mila” esodati, così da non lasciare buchi nella rete di protezione per coloro che sono rimasti intrappolati dopo la legge Fornero, senza stipendio né pensione.
Immediata, dopo l’estate, sarebbe l’introduzione del’Ape, l’anticipo pensionistico fino a tre anni con un prestito da restituire in 20 anni attraverso una penalizzazione sull’assegno cui potrebbero accedere tutti, accompagnato probabilmente dalla ricongiunzione gratuita dei percorsi contributivi. Via libera immediata anche alla ricongiunzione gratuita per chi ha versato contributi a più enti previdenziali. Ma si tratta di uno “scivolo” fortemente oneroso.
Il personale della scuola si aspettava di rientrare, invece, nella nuova salvaguardia: si tratta di una sorta di “paracadute”, che permetterebbe di lasciare il lavoro in anticipo senza però penalizzazioni o prestiti da restitiure con assegno pensionistico decurtato. Nella lista delle professioni usuranti figurano macchinisti delle ferrovie, colf, lavoratori agricoli, persone collocate in mobilità a 36 mesi. Del personale della scuola non c’è però traccia. Sembrano sparite anche le maestre della scuola dell’infanzia, che aveva citato a luglio il leader della Uil, Carmelo Barbagallo.
Furlan, sempre a colloquio con La Repubblica, a proposito dei contratti degli statali, fermi da sei anni, ha ricordato che “lo stesso premier ha definito ‘inadeguati’ i 300 milioni stanziati per il rinnovo del contratto pubblico. Dopo il dibattito ferragostano sulle cifre, mi auguro che riemerga la serietà delle parti. Cgil, Cisl e Uil hanno sempre dimostrato di stare con i piedi per terra. Non faremo richieste che non tengano conto della situazione del Paese”. Su questo punto, il rinnovo contrattuale, però, le speranze di arrivare ad un accordo sono davvero poche: il Governo ha infatti intenzione di adeguare gli stipendi solo ai più meritevoli e a coloro che percepiscono buste paga “mini”. Quindi, in media, ad un dipendente su tre.
Anche chi si aspettava modifiche alla Legge 107/2015, soprattutto sul versante della chiamata diretta o del merito, rimarrà deluso. Dopo il premier Matteo Renzi, nei giorni scorsi ha ribadito il concetto il viceministro all’economia Enrico Morando: in un’intervista al Gr1 Rai, l’alto rappresentante del Governo ha detto: alle “opposizioni che ci criticano rispondiamo con il fatto che le riforme strutturali, ad esempio la buona scuola, hanno bisogno di tempo per manifestare i loro effetti. In ogni caso – conclude – per esempio nei dati dell’occupazione, è evidente il buon funzionamento del jobs act, come allo stesso modo nei dati dei consumi interni è evidente l’effetto positivo degli 80 euro”.
Come dire: la riforma è questa e non si tocca. A meno che non si cambi Governo o arrivino le bocciature, su alcuni punti, tramite referendum. In ogni caso, si tratta di modifiche non proprio dietro l’angolo.
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