Da Bruxelles giungono dubbi sulle pensioni italiane, soprattutto per chi ha una carriera corta o con interruzioni. Quindi, per tantissimi cittadini, ovvero tutti coloro che arrivano alla pensione senza 35-40 anni di contributi. A sostenerlo è la Commissione Ue nel suo Rapporto 2018 sui sistemi pensionistici, secondo la quale anche se l’Italia spende molto per le pensioni, resta una “protezione contro la povertà inadeguata” con rischi per chi ha una carriera breve o priva di contributi continuativi, di fronte a cui servono misure “per rafforzare la capacità distributiva dei regimi pensionistici e meglio integrarli con regimi supplementari”.
Quindi, sostiene l’Ue, “dovrebbero essere prese misure per rafforzare la capacità distributiva dei regimi pensionistici e meglio integrarli con regimi supplementari”.
Secondo la Commissione, certamente, le riforme Renzi-Poletti hanno puntato sul facilitare i pensionamenti anticipati con l’Ape e l’aiuto agli esodati per risolvere questi nodi. La situazione attuale mostra quindi che, se da una parte “l’alta spesa pensionistica assicura un relativamente alto livello in media di sicurezza economica”, dall’altra il “sistema pensionistico non fornisce una forte protezione contro la povertà”, anche se “gli anziani stanno relativamente meglio delle controparti più giovani” e dove le donne “se la passano sistematicamente peggio degli uomini”.
Per la Commissione, il rapido aumento dell’età pensionabile “solleva questioni” sull’interazione tra aspettative di vita lavorativa più lunghe, mercato del lavoro e servizi sociali. Pertanto, “devono essere prese misure per migliorare la capacità di assorbimento del mercato del lavoro italiano e affrontare gli effetti collaterali negativi”.
Il quadro italiano ha posto delle condizioni discriminanti, inoltre, verso le donne: “dato il notorio sottosviluppo dei servizi per la cura della persona, le lavoratrici che hanno visto un aumento di 7 anni su 7 anni dell’età pensionabile tra 2012 e 2018, molto verosimilmente incontreranno gravi problemi nel conciliare i doveri di cura familiare con una vita lavorativa più lunga”.
Sono due le conclusioni del rapporto Ue. Primo, “è necessaria una rigorosa valutazione delle misure introdotte dalla riforma del 2016” per capire “se e sino a che punto” risolvono la questione della povertà. Servono inoltre “alcune misure” per “contenere o eliminare l’impatto regressivo” degli attuali requisiti “molto più rigidi per il pensionamento”.
Per questo, dovrebbero essere eliminate o sostanzialmente allentate le soglie che non consentono a chi ha una pensione bassa di andare in pensione all’età pensionabile standard o di essere prepensionato. E poi dovrebbe essere meglio calibrato il principio che traduce l’aumento dell’aspettativa di vita in un pari aumento dell’età pensionabile, adattandolo invece alle categorie di lavoratori e alla situazione di salute.
Infine, secondo l’UR servono misure “per ridurre le penalizzazioni per chi ha una carriera frammentata”. Ed è qui che “il ruolo dei regimi integrativi” deve essere riconsiderato. Nella scuola la pensione complementare è rappresentata dal fondo Espero, che però non decolla, considerando che ad aderire sono stati solo una piccola porzione di docenti e Ata.
Le considerazioni della Commissione Ue non sono condivise dalla Uil, secondo la quale “c’è la necessità, periodicamente, di tranquillizzare la Commissione Europea sul livello della spesa pensionistica italiana e la Uil assolve puntualmente a questo compito”, sottolinea con una nota il segretario confederale Uil, Domenico Proietti.
“Infatti – aggiunge – la spesa per le pensioni, in Italia, è stabile e ampiamente sostenibile nel breve, medio e lungo periodo. Essa equivale all’11% rispetto al Pil, perfettamente in media con gli altri Paesi europei, meno della Francia e della Germania”.
Secondo la Uil “è bene continuare a modificare la Legge Fornero, per garantire una maggiore flessibilità di accesso alla pensione intorno ai 63 anni e favorire un concreto rilancio ed un rafforzamento della previdenza complementare”.
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