L’Italia ha un enorme debito pubblico e non può permettersi di mandare in pensione le persone 62 anni in modo generalizzato: è questa la spiegazione dell’opposizione strenua dell’ex ministra del Lavoro Elsa Fornero all’ipotesi, formulata dei sindacati, sul pensionamento anticipato a 62 anni con 20 anni di contributi, che lunedì 27 gennaio formuleranno al ministro del Lavoro, in occasione della ripresa della confronto sulla riforma delle pensioni e della volontà reciproca di superare proprio la riforma Monti-Fornero.
Elsa Fornero, oggi in pensione, economista esperta di previdenza e promotrice della riforma che nel 2011 innalzò per uomini e donne l’accesso alla pensione di vecchiaia a 67 anni, introducendo il sistema contributivo pro rata per tutti con forti limiti al pensionamento anticipato, ha spiegato che se si guardano i conti pubblici “non è sostenibile mandare in modo generalizzato in pensione le persone a 62 anni”.
A meno che non si voglia applicare un “esercizio di irresponsabilità”, decidendo “di accelerare il declino del Paese: allora si può aumentare la spesa per le pensioni, che è già tra le più elevate. Qualcuno non ha chiaro che il debito rappresenta un problema. Queste persone pensano che si possa allargare il debito senza allargare la base produttiva ma sarebbe una scelta sciagurata. Gli italiani dovrebbero ribellarsi a queste proposte per il bene dei loro figli e nipoti”.
“Ci stiamo affannando – ha continuato – su scenari di pensionamento facilitato quando la nostra età di uscita effettiva è tra le più basse tra i Paesi Ocse e poi non si investe adeguatamente nella scuola. È sulla scuola che si costruisce il futuro del Paese”.
Secondo Fornero bisognerebbe quindi abbandonare del tutto “Quota 100” (già si parla di ‘Quota 102’), puntando invece su strumenti come l’Ape sociale che hanno consentito il sostegno alle persone più in difficoltà (con 63 anni di età e 30 di contributi per coloro che erano disoccupati, ndr), magari ampliandone l’accesso e utilizzando spesa assistenziale finanziata con imposte e non con contributi sociali.
Sulle categorie da considerare particolarmente stressanti, è stata appena istituita, attraverso la Legge di Bilancio, una Commissione di esperti, la quale andrà a verificare se esistono anche altre professionalità che necessitano di essere inserite nella lista dei lavori gravosi (con molti docenti che sperano di essere inclusi).
Sempre secondo la Fornero, Tra le misure da adottare vi sarebbe anche quella di introdurre limite di importo di pensione necessario per uscire con qualche anno in anticipo rispetto all’età di vecchiaia per chi ha l’intero calcolo contributivo: una linea che sembrerebbe piacere anche al Governo: oggi il limite è di 2,8 volte la pensione minima, potrebbe essere portato a 2,4 consentendo una maggiore libertà di scelta.
“Ma attenzione a non creare futuri poveri – ha concluso Fornero – perché solo tenendo le persone un po’ più a lungo al lavoro si possono avere buone pensioni“.
Intanto, anche Mario Monti, che all’epoca della riforma Fornero era premier, spiega i motivi per cui i paesi moderni non possono permettersi più di mandare i cittadini in pensione troppo presto.
Sulla decisione del presidente francese Emmanuel Macron di sospendere il progetto di portare 64 anni l’età minima di pensionamento, Monti si augura che sia “sia solo una ritirata temporanea. Altrimenti sarebbe un segnale negativo per il presidente francese e per l’Europa: Macron è il leader con le idee più avanzate sul come costruire una nuova Europa. La sua forza nello spingere su questo sentiero gli altri Paesi europei, a partire dalla Germania, risulterebbe tanto più attenuata quanto meno riuscisse ad andare avanti sulle riforme strutturali a casa sua, che sono sempre il banco di prova di un governo”.
In un’intervista al Corriere della Sera, Monti ha detto che “la crisi ha reso più sensibile il nervo delle pensioni. E la politica monetaria molto accomodante degli ultimi anni ha attenuato la percezione da parte dei mercati degli squilibri delle finanze pubbliche, inclusi quelli dei sistemi pensionistici. Se nel 2011 ci fosse stato il Quantitative easing e non una Bce super esigente, la nostra riforma non sarebbe passata così velocemente”.
Per la riforma italiana “fu fondamentale avere, grazie all’autorevole impulso del Presidente Giorgio Napolitano, quella grande coalizione che andava da Bersani a Berlusconi, passando per Fini e Casini. Ci fu un gran senso di responsabilità da parte di tutti”, ricorda l’ex premier.
“Quella riforma, per la quale molto si spese Elsa Fornero poi oggetto di tanti attacchi vigliacchi, evitò il default della Repubblica. E passò con una larghissima maggioranza, anche se oggi si dice che sia stata l’austerità a far prosperare il populismo”, ha detto l’ex premier del Governo tecnico.
In realtà “dopo un anno di atteggiamento molto responsabile, e con le elezioni alle porte, i partiti che avevano sostenuto il governo che ho avuto l’onere di presiedere cambiarono atteggiamento. Misero in scena molti ‘chi l’ha visto’, ognuno per la sua strada. Se i partiti si fossero intestati il merito di aver evitato il default difendendo le riforme che avevano votato, criticando questo o quell’aspetto ma senza rinnegarle, il populismo – ha concluso Monti – non sarebbe stato così prorompente. E anche loro sarebbero oggi più credibili”.
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