Non piace proprio ai sindacati il progetto di legge sulla flessibilità pensionistica, che permetterebbe di lasciare il lavoro prima dei 67 anni.
Se il Governo parla di riduzioni minimali e comunque proporzionali all’importo dell’assegno pensionistico che si andrà a percepire, secondo la Uil le cose stanno diversamente: anche un solo anno di uscita anticipata dal lavoro avrebbe effetti pesanti.
“Secondo un nostro studio – dice in un’intervista a Qn, il segretario della Uil Carmelo Barbagallo – un uomo che decidesse di andare in pensione a 65 anni e 7 mesi, cioè con un anno di anticipo, perderebbe ogni anno, e per tutta la vita, l’equivalente di una mensilità netta”.
Si tratta, quindi, di una penalizzazione ben più alta di quel 2-3 per cento l’anno di cui parlano i rappresentanti del Governo.
“La proposta del sindacato – continua Barbagallo – prevede invece di poter andare a riposo anche a 62 anni senza penalizzazioni, visto che la penalizzazione è insista nel sistema contributivo: lasciando prima il lavoro si versano meno contributi e dunque l’assegno è più basso”.
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Se queste sono le condizioni, continua il leader della Uil, ben venga allora l’invito del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, alle sigle sindacali per il 24 maggio. “Vogliamo spiegare al governo che non si può tenere la gente al lavoro fino a 70 anni. Non si può decidere una regola uguale per tutti. Ci sono i turnisti, chi lavora negli altoforni, gli autisti che portano i bambini a scuola, chi si occupa della sicurezza, gli infermieri… La maggior parte degli incidenti sul lavoro riguarda gli over 60”, evidenzia Barbagallo. Che però non cita gli insegnanti.
Sulla possibilità di far fronte ai costi della flessibilità in uscita coinvolgendo banche e assicurazioni, “temo che in questo modo si arrivi a una sorta di privatizzazione della previdenza”, dice Barbagallo.
Il nodo da sciogliere rimangono i finanziamenti. “Capisco che le risorse pubbliche non sono sufficienti, ma la Corte dei conti dice che le riforme pensionistiche ci fanno risparmiare 30 miliardi l’anno. Le risorse per la flessibilità in uscita vanno trovate lì”, indica il sindacalista.
Dal Governo, tuttavia, non sembrano dare seguito a questo auspicio. L’impressione, inoltre, è che si continui a rimandare il problema: sul finire del 2015, diversi rappresentanti dell’esecutivo in carica, anche lo stesso premier Matteo Renzi, avevano promesso che nell’anno in corso si sarebbero sicuramente approvate le norme per ridurre gli effetti rigidi della riforma Fornero sui requisiti per lasciare il lavoro ed andare in pensione. In questi giorni, invece, da alcuni esponenti del Governo è stato fatto intendere che la legge di modifica all’impianto Fornero si approverà solo nel 2017.
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