Fa discutere la presa di posizione del Fondo Monetario Internazionale sull’eccesso di spesa pensionistica in Italia rispetto al Pil: le considerazioni pessimistiche sulle previdenza, realizzata dagli economisti dell’Fmi Michael Andrle, Shafik Hebous, Alvar Kangur e Mehdi Raissi, attraverso il Working Paper ‘Italy: toward a growth-friendly fiscal reform’, con tanto di richiesta di introdurre la patrimoniale per la prima casa, cancellazione delle quattordicesime e taglio delle tredicesime mensilità, sono state accolte come un messaggio politico di stampo liberista.
A pensarla così è Cesare Damiano, del Partito democratico, presidente uscente della Commissione Lavoro della Camera, secondo cui “l’analisi dell’FMI sull’incidenza della spesa pensionistica sul PIL è un falso ideologico”. La sua disamina si rivolge, in particolare, alla richiesta espressa dagli economisti di considerare “l’attuazione di misure che garantiscono risparmi nel breve termine e li assicurino anche nel medio”, proprio per via dell’alta incidenza sul Prodotto interno lordo nazionale.
“Il dato del 16% di incidenza – sostiene il democratico – non è nient’altro che il tentativo di aprire la strada a un ulteriore taglio della previdenza da parte di una istituzione da sempre non neutrale, come l’FMI, che ha una chiara impostazione liberista. Il 16% è il risultato delle fuorvianti tecniche di calcolo europee alle quali l’Istat non ha potuto o voluto sottrarsi”.
La critica di Damiano è aspra: “Ci vorrebbe almeno un po’ di onestà intellettuale e ricordare che in Italia la previdenza e l’assistenza si sommano e, quindi, il mancato scorporo di quest’ultima dal calcolo dei costi dà un risultato sovrastimato. Ma non basta: si dimentica che la tassazione sulle pensioni è tra le più alte d’Europa e vale ogni anno 43 miliardi di euro che vengono restituiti allo Stato. Perché questo elemento non viene volutamente considerato?”.
Secondo Damiano, quindi, “depurata da assistenza e tassazione, la spesa pensionistica in Italia incide solo per il 12% del PIL, perfettamente allineata con gli altri Paesi europei”. Quindi, “è ora di finirla di farsi dettare le politiche sociali da istituzioni che non ci rappresentano, per poi stupirci se in Europa vincono i populisti e i demagoghi che si ergono a nuovi difensori dello Stato sociale con ricette estremiste e irrealizzabili”.
Alle richieste motivate degli economisti dell’Fmi di trovare in Italia delle risorse per sostenere la spesa pensionistica, che altrimenti diverrebbe insopportabile, fanno da contraltare le notizie che arrivano dalla Germania, dove le pensioni aumenteranno quest’anno del 3,2% a Ovest e del 3,4% a Est: l’annuncio è stato fatto, il 20 marzo a Berlino, direttamente dal ministro del Lavoro e degli Affari sociali, Hubertus Heil.
Gli aumenti scatteranno a partire dal secondo semestre del 2018: “anche quest’anno le buone condizioni nel mercato del lavoro e l’aumento dei salari rispetto al passato hanno portato a migliorare le pensioni”, ha dichiarato il neo-ministro del lavoro e degli affari sociali Hubertus Heil e “questa è una buona notizia per 20 milioni di pensionati”.
“Al più tardi entro l’aggiustamento pensionistico del 2024 – ha concluso il ministro del Lavoro tedesco – il valore delle pensioni dell’est salirà al 100% del valore dell’ovest”.
Per chi non lo ricorda, in Germania gli assegni pensionistici, in linea con gli stipendi dei lavoratori, risultano in media di gran lunga maggiori rispetto a quelli corrisposti nella nostra Penisola.
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